La minoranza Pd in bambola non sa più che fare

Sposetti prova lo sgambetto sul simbolo della "Festa dell'Unità". Matteo fa spallucce

La minoranza Pd in bambola non sa più che fare

Roma - Ci si metta nei panni di un onesto militante del Pidì. Penultima nidiata, diciamo, non matusalemme trinariciuto. Uno cresciuto a pane e partito, casa e Bottegone, Unità sotto il braccio, Berlinguer come fosse Sant'Eusebio. Costui ha visto Occhetto cambiare insegne: ha pianto ma approvato. Ha visto D'Alema tre volte nella polvere, una sòla (alla romana) sull'altar. Pur restando tendenza Uòlter, dunque «mai stato comunista». Identitario al punto di digerire i democristiani senza neppure un ruttino, quando è arrivato Matteo Renzi ne ha avuto paura, ne ha diffidato, ma ora se ne sente totalmente avvinto. Dopo le Europee, già quasi lo ama. Ecco, uno così. Che potrebbe essere Matteo Orfini, ma anche qualsiasi altro degli anonimi militanti di bocca buona. «Come si fa a fare opposizione a questo piccolo diavolo?», era lo sconforto dopo l'assemblea dell'altro ieri.

Con l'aria d'un Benigni meno trasognato, il diabolico segretario-premier sta togliendo agli oppositori la terra sotto i piedi, i simboli, l'identità. Matteo Renzi ha le antenne e le dirige dove vuole, senza complessi né vergogna. Si riprende un brand glorioso come quello delle «feste dell'Unità», e conquista generazioni e generazioni di grigliatori di salamelle. Non è un caso che l'applauso più lungo e convinto sia stato per l'ultima delle «genialate». «Sì, e ora mi vengano a chiedere il logo», ha subito dichiarato, tra l'imbronciato e il divertito, l'ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, che quel marchio se l'è tenuto stretto stretto anche dopo che Uòlter Veltroni l'aveva buttato nel cestino per un indecente «Festa democratica». «Ma verrebbe mai in mente a qualcuno di cambiare il nome alla Nutella o alla Coca-Cola?», si sono chiesti stupefatti per anni. Poi arriva Matteo, e ricuce quello strappo in una battuta, senza aggiungere - peraltro - una parola di salvezza per il quotidiano che dà il nome alla festa, l'Unità, in assai cattive acque (da alcuni giorni in liquidazione, ricordava ieri in prima pagina il Cdr, ringraziando Renzi ma anche stordito per l'assenza di qualsiasi cenno a piani di rilancio).

La forza del «piccolo diavolo» trascina: così dopo decenni di stucchevoli decisioni con un tratto di penna ha incluso il Pd nel Pse (persino nel simbolo), così fa propri molti dei principali argomenti dell'opposizione, e mentre rivendica diritti per le coppie gay è attentissimo a dimostrarsi supercattolico, mentre uccide Letta junior si prepara a ricompensarlo in Europa, mentre usa il «politicamente corretto» per demolire Mineo innalza a presidente un compiacente «D'Alema boy». Come se nulla fosse.

E Cuperlo resta senza Zingaretti, e Fassina ripudia Orfini, e Civati rinuncia persino a parlare, in una girandola spaesata di compagni che Matteo disorienta tre volte al dì e rende estranei persino a se stessi. Sembra la generazione precedente di fronte all'avvento di Berlusconi, questo è vero. Fare gli oppositori interni, in un partito del genere, è più che impossibile. È inutile.

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