E ora riformare la giustizia diventa priorità il commento 2

di La candidatura nelle liste del Pd del procuratore antimafia Piero Grasso avviene in un contesto in cui il voto popolare viene considerato da tanti ottimati puro impiccio. Il governo tecnico le cui controverse scelte sarebbero giustificabili solo per lo «stato di emergenza», diventa esempio di «risanamento» della politica. Modificare la struttura dell'imposizione fiscale diventa eresia rispetto all'ortodossia tedesco-europeo. E così via. È in questo quadro che allarma lo schierarsi di un potere come quello costruito intorno alla procura di Palermo per certi versi misterioso, come testimoniano la sostanziale messa sotto accusa per la «strana» trattativa di un altro grande governo tecnico della Repubblica (quello Ciampi del '93), le intercettazioni al presidente della Repubblica in carica con susseguente schiaffo dell'Alta Corte ai pm palermitani. Infine lo stesso capo della Procura a sua volta intercettato e gli eventuali indizi di reato emersi contro di lui trasmessi dai suoi sottoposti alla procura di Caltanissetta senza che chi «coordina» l'attività dell'Ufficio dell'accusa della capitale siciliana sia anche solo avvertito. È comprensibile che il Pd in questa situazione di fronte alla possibile candidatura di uno dei protagonisti di tutti questi «misteri», Antonio Ingroia, in una formazione estremistico-giustizialista, si «difenda» arruolando chi possa dominare gli scenari che potrebbero emergere. È un peccato che Grasso - al di là di sbavature politicistiche magistrato dotato di saggezza - si presti all'iniziativa ma non sfugge il quadro in cui questa avviene. Naturalmente con tante tendenze in atto tese a svuotare la democrazia, un centrodestra a base popolare deve preoccuparsi per il rapporto anomalo tra toghe palermitane e sinistra. Però non va dispersa una verità che emerge da questi fatti: come la separazione tra politica di repressione penale e responsabilità degli istituti della sovranità politica (Parlamento e governo) registrata dalla nostra Costituzione innanzi tutto con le carriere unificate di giudici e pm, non regga più. Se non solo i pm più estremisti, ma anche quelli più moderati nel sostenere la separazione delle indagini dalle responsabilità politica, si «candidano», è un'intera impostazione che crolla. Ed emerge con chiarezza come la democrazia sia il rimedio non l'ostacolo per affrontare la lotta alla criminalità. Come d'altra parte racconta l'esperienza concreta: sono i governi con una vera base popolare - come quello Berlusconi dal 2008 al 2011 - che mettono in galera più mafiosi e uomini della 'ndrangheta. È la lezione americana che ci spiega come anche un criminalità pervasiva della politica come quella di Al Capone sia battuta dallo Stato democratico non da «istanze tecniche».

Quindi pur mantenendo alta la preoccupazione per i tentativi in atto di svuotare la democrazia, pur criticando l'insensibilità istituzionale del Pd, va valorizzato il regalo fatto a un centrodestra che si batte per un'organica riforma della Costituzione a partire dalla magistratura: tema che naturalmente non si rintraccia neanche lontanamente nelle posizioni di una personalità insensibile alle questioni della democrazia politica come Mario Monti.

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