Ecco chi temeva l'asse Draghi-Berlusconiil commento 2

di La mossa della Bce di acquisire i buoni di Stato nell'Eurozona sottoposti ad attacchi speculativi, sarà risolutiva? La grande massa di liquidità in circolazione tornerà a operare al ribasso, dopo aver puntato sul rialzo? Le richieste di rigore colpiranno ancora di più le provate Italia e Spagna? Quando i tedeschi decideranno il loro destino? Dopo il 6 novembre americano? Crisi greca, bomba atomica iraniana e persino il voto olandese sono tutte occasioni che potrebbero minare scenari internazionali al momento privi di un vero equilibrio. Detto questo, resta la genialità unita alla capacità di decidere di Mario Draghi. E in questo senso non è male ricordare come l'ex governatore di Bankitalia sia diventato presidente della Bce. Il nostro giornalismo spesso trasandato scrive che l'uomo di Francoforte è stato scelto da Giorgio Napolitano e imposto a Silvio Berlusconi: così un quotidiano pur meno fazioso di altri come il Corriere della Sera. Ma se dire che Draghi è un uomo di Berlusconi è una bufala, non ricordare quanto costò all'allora presidente del Consiglio appoggiarlo è una manipolazione della verità. La presidenza Draghi aveva due nemici internazionali: Nicolas Sarkozy che doveva sostituire un francese (Jean-Claude Trichet) con uno che non lo era, cosa che fa sempre venire mal di pancia Oltralpe. E Angela Merkel incalzata dalla Bundesbank. Per aprire la via a Draghi si mossero dunque forze articolate, coordinate da Gianni Letta (poi sfiorato giudiziariamente - come si usa in Italia - per questo impegno) che nell'agosto del 2010 organizzò anche una cena con il cardinale Tarcisio Bertone, Pier Ferdinando Casini, Cesare Geronzi, Berlusconi e lo stesso Draghi. Da lì il percorso che preparò la candidatura alla Bce, non senza l'assunzione di rischi da parte di Berlusconi. Il primo fu la guerra scatenata da Giulio Tremonti a questa decisione, che non si placò neanche quando il suo candidato, peraltro ottimo, Giuseppe Vegas, andò alla Consob. Dura fu la trattativa con Sarkozy (tra l'altro rimaneva senza francesi nella presidenza della Bce: il che determinò poi lo spiacevole spettacolo di un Lorenzo Bini Smaghi incollato alla poltrona). Decisivo fu lo scambio tra Berlusconi e il presidente francese sull'intervento italiano in Libia che sbloccò la rivoluzione antigheddafiana. La nuova presidenza Bce provocò la rabbia incontrollata di Tremonti che iniziò una guerra ai francesi dove poteva (da Groupama a Vincent Bolloré) nonché a Geronzi che aveva sostenuto l'accordo. Spezzoni di questa guerra incrinarono irrimediabilmente i rapporti tra Parigi e Roma nell'estate del 2011, preparando la decisione di Berlusconi di dimettersi nel novembre. Insomma ben lungi da un appoggio passivo a Draghi quella berlusconiana fu una scelta ardua, pagata ad altissimo prezzo, assunta per valutazioni di ordine generale (innanzi tutto la capacità dell'uomo e la necessità di rassicurare Washington). Tra quelli che poi linceranno Berlusconi vi sono molti (da Emma Marcegaglia a Oscar Giannino a parte ampia del Corriere della Sera a Roberto Napoletano) che allora stavano solidamente con Tremonti.

Nel momento in cui si loda giustamente l'eroe Draghi è utile ricordare questa vicenda perché spiega come (al di là di eventuali errori politici o di comportamento, di limiti e anche di un bel po' di grane pure personali) il nucleo del centrodestra esprima un blocco di forze sociali strutturalmente schierato per la difesa degli interessi di fondo della nazione mentre vi sono tante forze e opinionisti che, dietro la retorica sui grandi obiettivi e valori, curano solo il proprio particolare.

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