Uno dei simboli dell’apoteosi elettorale di Matteo Renzi è Parma. Qui, dove due anni fa aveva preso forma il sogno del primo sindaco grillino e dove il M5S sperimentava la sua prima (e finora unica) esperienza di governo, il Pd ha fatto piazza pulita prendendo il 52% dei voti e annichilendo al 19 il partito di Grillo.
Ma Parma è un simbolo anche per la sconfitta di Forza Italia; per anni enclave del centrodestra nel cuore della rossa Emilia, nel 2012 ha cambiato: di fronte alla crisi del centrodestra e di una classe dirigente impresentabile, l’elettorato berlusconiano ha scaricato la sua rabbia votando il sindaco grillino e l’improvvisata carovana di dilettanti allo sbaraglio del M5S. Oggi, tradita anche la rabbia, quegli elettori non sono tornati a Forza Italia, ma sono passati direttamente armi, bagagli e speranze, da Matteo Renzi.
Ciò che è successo a Parma è lo specchio di ciò che è accaduto in tutto il nord Italia e che sta cambiando il paesaggio politico del paese.
In Lombardia e in Veneto, per la prima volta nella sua storia, Forza Italia non supera la sua media nazionale (addirittura in Veneto va nettamente sotto, con il 14,7); nel cuore produttivo del Paese, tra gli imprenditori, i professionisti, gli artigiani, nelle due regioni che raccolgono il 30% del Pil italiano, il movimento di Berlusconi non è più votato come una volta. La Lega ha recuperato una parte del suo elettorato ma non ha intercettato quello in libera uscita da Forza Italia, che si è riversato nel Pd. E così, proprio laddove Forza Italia è nata, dove il suo progetto ha preso forma compiuta anche nelle eccellenze dei governi locali (regioni, comuni), dove ha costruito le basi della sua affermazione e dove ha prodotto buona parte della sua migliore classe dirigente, il premier ha attinto a piene mani per il suo trionfo elettorale.
Renzi sta svuotando di significato Forza Italia, neutralizzando la carica innovativa di quella “rivoluzione liberale” con cui Berlusconi, per vent’anni, ha attirato a sé i ceti produttivi, i creatori di ricchezza e la parte più moderna del paese.
Oggi Forza Italia sta diventando un partito a vocazione meridionalista: infatti è al sud (in Campania, in Puglia, in Calabria e in Sicilia), che mantiene il suo elettorato con risultati nettamente superiori al 16% nazionale; ed è sempre qui che conserva il suo radicamento territoriale con il controllo delle preferenze (Raffaele Fitto è il candidato più votato d’Italia).
Questo mutamento del movimento di Berlusconi sembra in linea con quella scelta “moderata”, centrista, neo-democristiana (più in linea con l’elettorato del sud) che Forza Italia ha deciso di intraprendere inspiegabilmente negli ultimi tempi, tradendo le sue ragioni liberali; ma questo rischia di fargli perdere definitivamente il suo elettorato nordista.
Renzi ha vinto al nord, innanzitutto, perché non è voluto sembrare un moderato. Sicuramente lo è più di Berlusconi, ma ha fatto di tutto per non apparirlo. Renzi si è mostrato come il rivoluzionario, l’uomo del cambiamento anche lessicale, il leader in grado di scontrarsi con i poteri immobili (burocrazia, banche, sindacato) anche se quei poteri in realtà lo garantiscono e lo tutelano e a quei poteri deve molto.
Il passaggio del voto al nord da Forza Italia al Pd è un terremoto politico simile a quello della Le Pen in Francia; se Forza Italia continuerà ad inseguire un “elettorato moderato” che ora non esiste in
nessun paese europeo, Renzi continuerà a rappresentare il cambiamento per quel ceto produttivo che è stato il fulcro del successo di Berlusconi. Il centrodestra è avvertito: di moderatismo ci si può estinguere.@GiampaoloRossi
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