Da "fedele" scudiero a boia È l'esercito a dettare la linea

Un anno fa sostenne Morsi, ora punta a una presidenza ad interim Ma senza bagni di sangue. Per non perdere gli aiuti del Pentagono

Da "fedele" scudiero a boia È l'esercito a dettare la linea

Un anno fa era il suo scudiero. Ora è il suo boia. Se nei gialli l'assassino è sempre un maggiordomo in Egitto è più spesso un generale. Stavolta si chiama Abdul Fattah al Sissi. Il 12 agosto del 2012 fu lui a metter fuori gioco il Feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, consentendo al neo eletto presidente Mohamed Morsi di assumere i pieni poteri. In quei giorni il 58enne capo dell'intelligence, il più giovane dei generali dello Scaf, sembrava pronto a tutto pur di accontentare i Fratelli Musulmani. E la sua immediata promozione a capo di Stato Maggiore e ministro della Difesa venne interpretata come il segnale dell'avvenuta sottomissione dell'esercito al potere fondamentalista.

La storia personale di Sissi sembrava confermarlo. Fervente religioso sin dai tempi dell'Army War College negli Stati Uniti il Capo dello Stato Maggiore ha un nipote all'interno della Fratellanza ed è uno dei pochi generali a tirarsi dietro una moglie avvolta nel niqab, il velo integrale. Ma in Egitto la divisa è più forte della religione. E l'opportunismo più praticato della lealtà. Morsi lo capisce a fine anno, quando un comunicato dei militari cita «ordini precisi per prevenire tendenze politiche o religiose all'interno dell'esercito». Il generale Sissi, insomma, è stato al servizio di Morsi solo per il tempo necessario a mettere fuori gioco Tantawi. A quel punto il docile scudiero è già tornato ad essere la punta di lancia di un apparato militare pronto a contrapporsi al presidente ogni qualvolta le sue politiche confliggono con gli interessi dei generali.

I principali punti di attrito sono i rapporti con Hamas, la formazione palestinese figlia della Fratellanza Musulmana con cui Morsi vorrebbe un'intesa e quell'Iran con cui il presidente vuole stringere rapporti più stretti in virtù dell'appoggio di Teheran ai militanti i della Striscia di Gaza.

A rendere irrequieti i militari contribuisce anche l'eccessiva dipendenza di Morsi dal Qatar. L'alleanza della Fratellanza con un partner finanziariamente egemone è interpretato dai generali come un tentativo di ribaltare l'assetto economico industriale di un Paese dove i generali controllano, direttamente o indirettamente, oltre il 40 per cento della produzione economica. Il tentativo di sottrarre all'esercito il potere economico e trasferirlo nelle mani d'imprenditori legati alla Fratellanza Musulmana segna, con tutta probabilità, la fine di Morsi.

Il braccio di ferro iniziato con la sua destituzione e il trasferimento agli arresti domiciliari potrebbe però rivelarsi lungo e complesso. Pur avendo già avviato il colpo di mano i militari sanno di non potersi permettere un golpe segnato da un bagno di sangue e da una spietata repressione della Fratellanza Musulmana. Una scelta così drastica, oltre a privarli del sostegno di un'opinione pubblica tornata a credere in loro, metterebbe a rischio gli aiuti militari per oltre un miliardo e trecento milioni di dollari annui garantiti dal Pentagono. Dunque per tornare a governare nell'ombra e a gestire il potere economico Sissi e i generali devono muoversi con i piedi di piombo. I carri armati già scesi nelle piazze non puntano, almeno nei piani, a far strage di militanti fondamentalisti, ma a convincere Morsi e i suoi a lasciare il posto ad una presidenza ad interim guidata dal presidente della corte costituzionale Adli Mansour.

Da lì tutto ripartirà come prima. La Costituzione verrà ripulita dagli eccessi di «sharia» introdotti da Morsi e compagni in attesa di una nuova elezione presidenziale.

Ora la scelta tra il dialogo e lo scontro di piazza è tutta nelle mani di una Fratellanza capace di mobilitare milioni di sostenitori. Ma la scelta di resistere rischia di rivelarsi un cerino acceso pronto a bruciare definitivamente chi si illudeva d'aver strappato il potere agli eredi di Nasser, Sadat e Mubarak.

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