Roma - A undici anni di distanza, la storia si ripete: era il ’96 quando Domenico Fisichella, allora maître à penser di Gianfranco Fini, cercò disperatamente di dissuadere il leader di An dal tentare la scorciatoia delle urne, perorando il tentativo Maccanico. Ieri il professore che, abbandonata An da tempo, aveva aderito alla Margherita per poi passare al gruppo misto, ha annunciato che è finita l’era dei suoi sì a Prodi, «tanto quelli dati per convinzione che quelli offerti per senso di responsabilità». E oggi come allora, l’unico rimedio possibile che sembra scorgere alle porte è quello di un governo istituzionale che trasformi «il bipolarismo conflittuale in bipolarismo competitivo» col cambio della legge elettorale e la messa in angolo del diritto d’interdizione «dei più piccoli» in modo «da uscire dalle secche e riuscire finalmente a governare il paese».
Ci spera Fisichella, ma non insiste più di tanto sull’obiettivo che gli pare spendibile. «Mi capisca - fa presente con aria grave -, ho appena chiarito che il rapporto di fiducia con questo governo è finito... Non mi pare il caso di mettermi a suggerire quel che è possibile fare, anche se quello del governo istituzionale è una delle ipotesi di cui si è parlato e si parla da tempo... ».
Senatore Fisichella, cosa l’ha indotta all’annuncio del suo “basta”?
«Una serie di cose meditate e riflesse a lungo. Diciamo che il repertorio di un anno e mezzo, fatto di insipienza, scelte improvvide, errori tecnico-giuridici, mi ha convinto che questo governo non può più in alcun modo dispiegare una efficace azione di risanamento. E lo dico senza nessuna polemica, soprattutto di carattere personale, sia chiaro! Poi c’è stato un altro fattore a farmi ragionare... ».
Vale a dire?
«Il fatto che le due maggiori forze politiche si siano decise al dialogo, abbandonando il terreno della polemica, non è cosa da poco. Credo sia davvero possibile a questo punto una fuoriuscita da un sistema che esaltava i radicalismi dei due campi e si possa ragionare con maggiore calma e ponderazione. E questo lo dico al di là delle scelte che si potranno fare sulla discussa questione della legge elettorale...».
Mi par di capire che lei, tra i più profondi studiosi di sistemi elettorali, digerisca poco il... Veltronellum. O mi sbaglio?
«Veltronellum, Vassallum... Ormai le ipotesi si diversificano e durano lo spazio di un mattino. Comunque sia diciamo che come Veltroni tendenzialmente sono per il doppio turno, idea che sostengo da mezzo secolo e che penso sarebbe utile per il nostro sistema politico. Poi, certo, se non si dimostrasse praticabile una simile soluzione, ben vengano le subordinate che però garantiscano la governabilità. Il mio timore è che però, a quel punto possa prevalere lo spirito partigiano e non la asettica sistematologia elettorale... Né bisogna dimenticare che i minori faranno di tutto per esercitare il loro diritto di interdizione. Il che rischia di portarci al collasso del sistema democratico».
Ma un governo istituzionale tra le due maggiori forze politiche per riscrivere la legge elettorale senza subire i diktat dei minori, lo tiene in considerazione?
«Certo a questo punto serve un quadro politico nuovo. Perché se a gennaio sarà crisi Napolitano dovrà indicare la strada tenendo ben presenti due fattori: intanto che il centrodestra di oggi non è credibile per via delle sue divisioni interne; ancora, che una crisi non si deve necessariamente indirizzare allo scioglimento delle Camere... ».
Riemerge dalla storia una ipotesi Maccanico...
«Non spetta certo a me dirlo. Diciamo che le cose si valuteranno in corso d’opera, ma certo... ».
Nel ’96 lei non riuscì però a imporre questa tesi.
«Gianfranco Fini fece allora un grave errore.
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