Si legge in Madame Bovary: mai maneggiare troppo un mito, alla fine un po' di oro resta sulle dita. Dentro la grande letteratura ci sono sempre lucide verità, che aiutano nella vita. Avvicinare eccessivamente un personaggio rischia di rivelarlo molto diverso, con un seguito di retroscena e di delusioni che può dissolvere nel nulla la gloriosa icona. Sono sempre i più intimi, i familiari e gli amici, ad osservare senza filtri, fino in fondo, al microscopio, la doppia versione dell'individuo. E le loro conclusioni possono risultare sconvolgenti. Certo non si può dire che il famoso Klaus Kinski, attore di grido dell'altro secolo, morto nel 1991, si portasse dietro una reputazione di pio e devoto. Compiaciuto nel suo ruolo maledetto, definito «psicopatico e schizofrenico» nelle cartelle cliniche di un ospedale berlinese pubblicizzate anni dopo la scomparsa, il grande pubblico l'ha sempre conosciuto quanto meno come eccentrico, stravagante, anticonformista, rissoso e piantagrane. Eppure, nonostante questa reputazione, nessuno riesce adesso ad apprendere tranquillamente quanto la sua secondogenita Pola, oggi sessantenne, sorella della più nota Nastassja, rivela al settimanale Stern, parlando del libro autobiografico di prossima pubblicazione. A tanti anni di distanza, ricordi e parole di figlia sanguinano come ferite aperte: «Mio padre mi ha stuprata da quando avevo cinque anni fino ai diciannove. Si è sempre infischiato di tutto, anche quando cercavo di difendermi. Gli era indifferente e si prendeva ciò che voleva».
Che la donna si decida a raccontare solo adesso un simile passato, un simile privato, quando il padre dipinto come mostro e degenerato non ha più facoltà di difesa, può sembrare piuttosto sgradevole, se non addirittura inquinato da biechi interessi editoriali. Fosse così, è chiaro, la figlia sarebbe ben più mostruosa del genitore. Ma è Pola stessa a spiegare i motivi dello spaventoso outing: «Non potevo più sentirmi dire da tutti che grande tuo padre, che genio tuo padre. Da quando è morto, questa idolatria nei suoi confronti è diventata sempre peggio. La mia verità di figlia è molto diversa. Non sono mai riuscita a vederlo come grande attore. Ho vissuto tutta la vita nel terrore dei suoi scoppi d'ira. Ha abusato di qualunque persona, non ha mai rispettato nessuno».
È certo che in casa Kinski non si giocasse al gioco dell'Oca e non si montasse il presepe a Natale. La stessa Nastassja, celebre attrice avviata prestissimo alla professione, spesso in ruoli decisamente scabrosi, non ha mai nascosto le nebbie della sua educazione domestica, raccontando di un padre «che era sempre assente, che non ha badato troppo a noi».
A ogni modo è quel che resta di una memoria, di un mito, di un'icona raffinata e controversa a rendersi così desolante, così insopportabilmente odioso. Sono gli effetti collaterali del genio, si ama raccontare nel demi-monde delle arti. Ma è meglio andarci piano. Una cosa è il fascino irresistibile della simpatica canaglia, altra cosa è l'efferata morbosità che viene alla luce in queste storie torbidissime.
Certo non si può dire sia la prima volta che un mito popolare, attore o cantante, pittore o campione, riveli in filigrana tutt'altra personalità. Non è la prima volta che a smascherare o a dissacrare il monumento sia chi lo conosce da vicinissimo, convivendoci a tempo pieno, toccando con mano le sue virtù e i suoi lati scuri. Quante volte abbiamo sentito figli raccontare di depressioni domestiche del padre comico, o di meschinità impensabili del padre pensatore. Questo però fa parte dell'umanità, dove grandezza e miserie di mescolano sempre inscindibilmente, permettendo di nascondere le meschinità soltanto a chi guardi da molto lontano e da molto in basso, con occhi adoranti e superficiali. Ma nella famiglia Kinski c'è dell'altro, c'è molto di più e di molto peggio.
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