Probabilmente il cardinale Angelo Scola si sente sollevato. Dato per favorito da tutti i pronostici ha visto scatenarsi contro di lui una fronda iniziata più di un anno fa e che ha battuto l'ultimo colpo mentre si chiudevano le porte della Cappella Sistina.
Il 10 febbraio 2012 uscì su Il Fatto quotidiano un finto scoop che fece scalpore: c'è un piano per uccidere Benedetto XVI entro un anno, il beneficiario della sua morte sarà l'arcivescovo di Milano. È emersa quel giorno sui media la campagna, sino ad allora condotta intra moenia, per scongiurare l'elezione al Soglio petrino del cardinale Angelo Scola. Ovviamente non si presentava Scola come il tessitore del complotto, ma lo si indicava come il delfino designato. L'altro ieri, sul Wall Street Journal, subito prima dell'ingresso dei cardinali in Conclave, è uscita la voce anonima di un «porporato europeo» (italiano?) che promette di «sollevare il Caso Cl in conclave». La minaccia ha due significati: il primo ne sottolinea le presunte preferenze politiche, ma è una lettura rozza che non rende ragione né della statura del personaggio né dell'ottica universale del papato, accentuata dagli ultimi due pontificati; il secondo vuole bollarne la provenienza ecclesiale e la valorizzazione dei movimenti già attuata dai suoi predecessori. A rafforzare la sottolineatura negativa di questa appartenenza venne passata ai giornali la lettera, coperta da segreto pontificio, con cui don Julian Carron lo indicava come il vescovo necessario per Milano.
Non è un mistero che alcuni ambienti della Curia non vedessero bene l'arrivo di un uomo che ha dimostrato intraprendenza culturale da rettore all'Università Lateranense, apertura e volontà di dialogo con la fondazione Oasis, doti pastorali e capacità di governo nelle tre diocesi che ha amministrato. Non è un mistero che il capofila dei curiali che non lo volevano Papa era il cardinale Giovanni Battista Re. Ed è singolare che dopo la richiesta di sospensione delle conferenze stampa dei cardinali americani siano iniziate a uscire indiscrezioni, illazioni, resoconti incontrollabili delle Congregazioni generali. Il silenzio stampa ha sempre le sue (segrete) eccezioni. Non è un mistero neanche che Scola avesse oppositori nell'episcopato italiano. Il cardinale Camillo Ruini lo voleva come suo successore alla guida della Cei, i vescovi contrari si fecero forti dell'appoggio del Segretario di Stato Tarcisio Bertone. «A Roma non ci amano molto» si è recentemente lasciato sfuggire una monsignore milanese.
Il problema è la presenza pubblica della Chiesa, uno dei punti su cui si è vista la differenza di approccio tra il cardinale ambrosiano e i «romani» è stato il caso dell'Imu. Mentre in Cei hanno plaudito alla soluzione europea - che permette esenzioni agli enti ecclesiastici che in caso di scioglimento affideranno i loro beni a enti di pubblica utilità - la curia di Milano ha invitato parrocchie e congregazioni a non chiedere l'esenzione e a pagare, promettendo una battaglia pubblica sul principio considerato iniquo. Non si tratta di punti di vista differenti su una questione particolare, ma di una diversità metodologica di fondo. La Cei e la curia sono più propense a un metodo trattativista, già denunciato da Ratzinger quando si discuteva di radici giudaico-cristiane per la Costituzione europea, Scola rivendica invece il metodo che fu già di Sant'Ambrogio: lealtà nei confronti dell'autorità civile e rivendicazione delle libertà irrinunciabili.
di Ubaldo Casotto
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