«Non mi ricandiderò alle prossime politiche». La «mossa del cavallo», come la definisce l'amico Ermete Realacci, arriva inaspettata a metà domenica e spiazza tutti, nel Pd. Prima il leak a Repubblicaon line, poi l'annuncio in tv da Fabio Fazio: Walter Veltroni fa il beau geste e rinuncia ad un seggio parlamentare praticamente assicurato (nessuno avrebbe mai negato la ricandidatura al segretario fondatore), e lo fa scegliendo - fanno subito notare i suoi - un giorno altamente simbolico, il 14 ottobre. Il giorno delle prime primarie del Pd; quelle che, nel 2007, lo incoronarono leader del «partito a vocazione maggioritaria», con 3 milioni e mezzo di votanti alle urne. Il «suo» Pd, che ora però Veltroni fa fatica a riconoscere nell'attuale partito dilaniato da una contesa che non gli piace e in cui non vuole schierarsi.
La sua è una scelta autonoma, spiega, e non un cedimento alla «rottamazione»: «Una parola che non mi piace - dice - non mi piace perché si rottamano le cose, anche con un certa velocità e facilità, ma non si possono rottamare le persone, le idee, la storia, i valori le fatiche che ciascuno ha compiuto». Una scelta maturata da tempo, assicura: aveva già detto, quando era candidato a sindaco di Roma, che «una volta conclusa la mia esperienza avrei smesso di fare la politica professionalmente», e che magari sarebbe andato in Africa. Poi, invece, «mi venne chiesto di fare una cosa alla quale non potevo opporre le mie scelte personali di vita e cioè il candidato premier. L'ho fatto, e in 12 milioni hanno votato per me».
Il passo indietro di Veltroni avrà inevitabilmente dei contraccolpi nel Pd. E rischia di mettere in grande difficoltà molti nel gruppo dirigente storico. «Voglio vedere ora che faranno D'Alema o Bindi. Temo che la raccolta delle firme dovrà essere fermata...», ironizza un parlamentare vicino a Veltroni. Le firme (alcune centinaia, di amministratori locali e parlamentari Pd del Sud) sono quelle raccolte in calce ad un appello approdato sul tavolo di Bersani e mirato, secondo quanto raccontava ieri Pubblico, a sostenere - in nome del Meridione - la necessità che il Pd non si privi di una risorsa come D'Alema.
L'appello, secondo le indiscrezioni, doveva essere pubblicato oggi dall'Unità, ma il contemporaneo gran rifiuto di Veltroni rischia di renderlo quanto meno inopportuno. Walter non infierisce, il passo indietro «vale per me ma non vale per altre persone ed è giusto che tornino in Parlamento». Ma, aggiunge con una punta di perfidia, «si parla molto di D'Alema e Bindi ma non si dice che con la rottamazione non entrerebbero persone come Morando, Castagnetti e Parisi: persone che hanno fatto bene al Parlamento». Enrico Letta scrive su Twitter: «Dovremmo convincere Veltroni a ripensarci», mentre Bersani lo gela: «Parlamentare o no, Walter resterà un protagonista».
«Rinunciare a fare il parlamentare non significa rinunciare alla politica», avverte comunque Veltroni, che infatti esplicita il suo dissenso da Bersani: «La citazione di Monti doveva esserci, nel documento
programmatico, è un'esperienza importante che stiamo sostenendo». Di certo, chiosa Realacci, «la scelta di fare un passo indietro rafforza Walter, anche in vista delle partite che si possono aprire nella prossima legislatura».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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