Forse tutti preferirebbero evitarsi l'apnea cupa di certe storie, al grido - diventato anche luogo comune piuttosto vuoto e stucchevole - basta brutte notizie sui giornali, datevi una mossa e dedicate più spazio a quelle buone. Tutti preferiremmo raccontare e ascoltare storie lievi ed edificanti, come no, ma la vita non ha questi riguardi per le nostre paure e i nostri tremori. La vita e la morte sono là fuori, ovunque, in ogni momento. Qualche volta scelgono soluzioni estreme, ed allora sì la nostra sensibilità viene scossa fino all'esaurimento. A quel punto, nemmeno si sa da dove cominciare: a raccontare, a leggere, a comprendere.
La prima precauzione da adottare è non scendere troppo nei dettagli: fuori da queste storie la morbosa curiosità di conoscere il perché e il percome, fin dentro i minimi particolari. A Verbania: un ragazzino sedicenne e liceale, una ragazzina quattordicenne in terza media, una madre, un padre. Per anni si erano trasferiti in Sudamerica, quindi il ritorno a casa. Una famiglia, fino a due anni fa. Poi la separazione dei genitori, insegnanti di ginnastica. Il papà va a vivere in un'altra casa, i figli restano con la mamma. Risulta che da quello strappo il ragazzino non si sia mai ripreso. Si parla sempre di depressione, in questi casi: formula universale che copre tutto il campionario delle sofferenze mute e insormontabili.
Ecco l'epilogo, al di là e al di sopra di ogni più tetra immaginazione. Un paio di giorni fa padre e figlio hanno una discussione al telefono. Non sarebbe una tragedia: tutti abbiamo discussioni con i figli. Ma questa sembra lasciare il segno nell'animo del ragazzo. O forse c'è dell'altro. Resta il fatto che all'indomani, giorno del suo compleanno, prende una corda e si impicca a una trave del soppalco. A sedici anni. È possibile a sedici anni soffrire tanto, crollare tanto, arrivare a tanto? È possibile a ogni età, ma soprattutto all'età in cui le emozioni e i sentimenti non sono facilmente governabili. Servirebbe più forza, nelle età della debolezza.
È la mamma a trovare la sua creatura appesa alla trave. La donna cerca di sollevarlo, chiama aiuto, urla con la voce più rotta del mondo. I soccorsi arrivano in tempo per salvare il giovane dalla morte, anche se tutt'ora nessuno sa se sopravviverà, ed eventualmente con quali danni.
Basterebbe già questo, per riempire i giornali e per inondare le nostre riflessioni. Ma c'è un seguito ugualmente atroce. Nell'immaginabile concitazione dei momenti, qualcuno tra i parenti chiama il padre e lo avverte della tragedia, probabilmente riferendogli che il figlio è morto. Impossibile adesso immaginare che cosa succeda in fondo all'anima di quest'uomo. Verosimilmente ripensa subito alla lite del giorno prima, sente ingigantirsi dentro un insuperabile senso di colpa, oppure semplicemente non regge all'idea che il suo ragazzo si sia suicidato. Senza perdere tempo, corre a prendere la pistola che usa per sport e decide di rifiutare per sempre tanta sofferenza. Un colpo e tutto svanisce. Nell'orribile gioco dei rimorsi, la morte del papà rimbalza pesantemente sul figlio. Se vivrà.
Può essere tutto. Non c'è spazio per retroscena, plastici, chiavi di lettura. Non ci deve essere. Nessuno dimenticherà mai questa serata, a Verbania. Nessuno straccerà mai questa pagina di giornale, da nessuna parte. Un ragazzino che si impicca, il padre che si spara. E poi ci sarà il seguito, decisamente più opprimente e indecifrabile di qualunque altra cosa. Ci sono una madre e una figlia, quel che resta della famiglia.
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