La grande batosta della Lega: si chiudono vent'anni di storia

A Treviso dura sconfitta per Gentilini, lo "sceriffo" eletto la prima volta nel 1994. Il Pd può esultare: "Città deleghizzata". E il Carroccio arretra in tutti i feudi storici

Il candidato sindaco di Treviso della Lega Nord Giancarlo Gentilini
Il candidato sindaco di Treviso della Lega Nord Giancarlo Gentilini

Gli occhi sono puntati su Roma e sulla disfatta di Alemanno. Ma forse la vera svolta di queste elezioni si è consumata in un'altra capitale. Treviso era la roccaforte della Lega fin dai tempi della Liga. Era la città monocolore. Il capoluogo del Nordest degli imprenditori e degli artigiani. Tutto finito: è venuto giù un mondo che reggeva da vent'anni. Sembrava indistruttibile Giancarlo Gentilini, l'84enne «sindaco sceriffo», eletto la prima volta nel 1994. Poi rieletto nel '98, pro-sindaco fino a ieri per ragioni di regolamento e finalmente ricandidato. Spazzato via con un distacco di undici punti da Giovanni Manildo del Pd, i cui supporter possono sventolare lo striscione «Treviso, città deleghizzata». Esulta anche il ministro Kyenge che individua nel risultato della città veneta il segno «che nel Paese è arrivato il momento di cambiare l'approccio delle politiche sull'integrazione».
Una «batosta» tremenda, ammette Matteo Salvini, vicesegretario del Carroccio. La fine di un'epoca. Lo dice anche lui, con la sua spesso esagerata schiettezza: «È finita l'era Gentilini, è finita l'era della Lega e del Pdl. Stop». Mentre gli sguardi si concentravano su quello che succedeva nei partiti romani e sul ballottaggio capitolino, si è sottovalutato ciò che stava accadendo nella Lega. E, di conseguenza, al cosiddetto asse del nord. Superato anche a Brescia, tornata al centrosinistra, dove i due candidati partivano alla pari. A Lodi, dove però la maggioranza precedente era capeggiata dal Pd. E poi in tutti i paesi dell'hinterland milanese, un tempo serbatoio del voto leghista. La débâcle dei ballottaggi completa le sconfitte registrate al primo turno a Sondrio, ma soprattutto a Vicenza dove il Carroccio aveva lanciato una figura storica come Manuela Dal Lago.
«Abbiamo perso dappertutto», ammette ancora Gentilini. Che aggiunge nel suo solito linguaggio: «Bisogna sapere che l'orda della sinistra non si ferma mai». Ma è ancora un errore di prospettiva. Più che l'avanzata della sinistra, che l'ex sindaco sceriffo ha provato a fronteggiare con una campagna elettorale impostata sui «trinariciuti che stanno riemergendo» mentre il suo avversario era un cattolico, la Lega doveva temere le conseguenze dei propri scandali. Il caso Belsito, i lingotti e i fondi in Tanzania. La laurea in Albania del Trota, gli yacht. Infine, i litigi e la divisione in correnti. Non è bastato agitare la ramazza a Pontida per dare credibilità al rinnovamento. A Treviso c'era lo stesso uomo di vent'anni fa. A Vicenza la Dal Lago. Ma al di là dei casi singoli, è tutto il partito ad attraversare una crisi di contenuti e di rappresentanza. Una crisi d'identità. Proprio ora che le tre regioni del nord sono guidate dalla Lega, la presa sul territorio si è allentata. Grave errore quando si vota per i sindaci. È grazie alla militanza che il Carroccio ha sempre incassato percentuali a due cifre. Ma la «balena verde» non c'era più. Senza la presenza sul territorio qual è il contributo leghista all'alleanza con il Pdl? Già alle politiche fette consistenti di elettori, piccoli imprenditori e artigiani per primi, erano migrati sul M5S, il più simile alla Lega delle origini. Delusi anche da Grillo, alle elezioni per i sindaci sono rimasti a casa.
«Il centrodestra e la Lega in particolare hanno pagato in maniera carissima il calo dell'affluenza che non è mai stato così pesante», ha osservato Flavio Tosi, rieletto un anno fa a Verona al primo turno. «I cittadini sono già disinnamorati della politica e ovviamente mal sopportano di vedere partiti lacerati al loro interno». Anche Salvini ha sottolineato la divisione interna: «A Brescia e Treviso abbiamo sbattuto la faccia contro il muro. Chi litiga allontana la gente: il messaggio l'abbiamo ricevuto forte e chiaro». Dal Veneto il governatore Luca Zaia ammette che «per noi si chiude un ciclo. Ora la Lega deve ripartire. Siamo nella fase del ricambio generazionale, si riparta con nuovi stimoli e nuovi obiettivi».

Parole che Maroni, l'altro ieri costretto dalla fronda bossiana a ribadire che il segretario è lui, sottoscrive su Twitter.
Chissà, forse anche la scelta di un social network per commentare i ballottaggi, è la conferma che la Lega non è più quella di una volta.

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