MilanoPuò consolarsi con il suo conto corrente da senatore, al riparo dai giudici. Per il resto, all'ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni resterà ben poco. Ieri, infatti, il gip di Milano Paolo Guidi ha disposto il sequestro «per equivalente» di tutti i beni mobili e immobili del senatore già Forza Italia, poi Pdl e ora Ncd. Case, ville, conti correnti e auto, fino a un massimo di 49 milioni di euro. Pari - secondo la Procura - al valore della corruzione contestata a Formigoni&co nelle inchieste Maugeri e San Raffaele.
Un sequestro stabilito ai fini di confisca nel caso di un'eventuale condanna, che coinvolge non solo Formigoni ma anche una parte degli altri soggetti accusati di fare parte dell'associazione per delinquere che avrebbe pagato tangenti per far piovere milioni sulle due fondazioni. Oltre all'ex presidente lombardo, infatti, sono citati nel decreto del gip anche Alberto Perego, amico, uomo di fiducia e membro come Formigoni dei memores domini, il faccendiere Pierangelo Daccò, l'ex assessore regionale Antonio Simone, e il direttore della Fondazione Maugeri Costantino Passerino. Quei 49 milioni, dunque, sarebbero l'esorbitante valore della corruzione nel presunto «sistema-Formigoni», che orbitava attorno al ricco comparto della sanità lombarda.
L'ex governatore, dunque, dovrà rinunciare - almeno temporaneamente - ai propri conti un banca eccetto quello da senatore, alla lussuosa villa in Sardegna, alle auto e ad alcune proprietà immobiliari. Ma a sentire il senatore, lo Stato dovrà accontentarsi degli spiccioli. «Non ho mai posseduto nemmeno la centesima parte di 49 milioni di euro», dice. E ancora, «su uno dei miei due conti correnti figura un attivo di 18 euro e 20 centesimi, sull'altro un passivo di 75mila euro. Le mie tre auto sono una Alfa Mito del 2012 per uso personale, una Panda del 2009 e una Multipla del 2008 in dotazione ai miei collaboratori». E infine «non ho mai posseduto ne posseggo una casa in Sardegna. Le proprietà immobiliari sono un micro appartamento nella periferia di Sanremo di 36 metri quadrati e tre appartamenti in Lecco di 400 metri quadrati complessivi, che sono stati ereditati dai miei genitori. Di tutti questi immobili condivido la proprietà con i miei due fratelli».
Se effettivamente sono queste le proprietà riferibili a Formigoni, il Fondo Unico Giustizia su cui saranno immediatamente trasferite incamererà un cifra ben lontana dal massimale di 49 milioni indicato dal giudice.
Ma come si arriva a quella cifra? Si tratta dei fondi trasferiti su società estere da Giancarlo Greci, fiduciario di Daccò e Simone, e che avrebbero costituito il serbatoio da cui Maugeri e San Raffaele attinsero per oliare gli ingranaggi della politica. La fetta di Formigoni sarebbe stata di circa 8 milioni, tra spese di viaggio e Capodanni di lusso (638mila euro), barche da sogno (l'uso esclusivo di tre yacht, l'«Ojala», il «Chinghingaia» e l'«Ad Maiora», per 4,6 milioni), una villa ad Arzachena (acquistata per «soli» 1,5 milioni grazie all'intermediazione di Perego), fondi elettorali (600mila euro), contributi per cene e convention al Meeting di Cl (70mila euro), finanziamenti vari per «promuovere l'immagine e il consenso elettorale» dell'allora governatore lombardo (500mila euro), e «ingenti somme di denaro in contante non giustificate dai suoi legittimi introiti».
Ecco, quei 49 milioni il giudice li chiama «il tesoretto», la cassaforte da mettere «a disposizione del presidente Formigoni e del suo entourage». Il «Celeste» viene indicato dal gip come «il fulcro presso la giunta regionale della Lombardia di una struttura organizzata e permanente volta a trasferire indebitamente e con sorprendente continuità somme di denaro» alle due fondazioni, e alle quali garantiva una «protezione globale».
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