Non si è arrivati allo psicodramma delle elezioni per il Quirinale, ma quella di ieri è stata un’altra giornata difficilissima per il Pd. La mozione di maggioranza sulle riforme e soprattutto il testo del renziano Roberto Giachetti, che chiedeva un impegno sul ritorno al Mattarellum, hanno spaccato il gruppo democratico alla Camera. Un via libera a Giachetti avrebbe creato non pochi ostacoli al governo, riuscito nella difficile opera di tenere insieme Pd e Pdl cassando dalla sua mozione ogni riferimento a un nuovo modello elettorale. Il blitz di ieri è stato un vero e proprio sgambetto al premier Enrico Letta. "Non sto mettendo fretta all'esecutivo, ma governo e parlamento funzionano se fanno le riforme e non se vivacchiano", ha ribadito oggi il sindaco di Firenze Matteo Renzi che, alla presentazione del libro, ha colto l'occasione per accusare il Pd di aver "preferito andare alle elezioni con la faccia triste".
"Renzi vuole far cadere il governo", è la lettura dei parlamentari vicini al premier e di tutti coloro che, nel Pd, tifano per le larghe intese. In attesa del congresso, i democratici se le danno di santa ragione in parlamentare minando la tenuta dell'esecutivo. Sullo sfondo c'è il duello a distanza tra Renzi e Letta, che si gioca sulla durata dell’esecutivo. "Una parte di liturgia democristiana in politica e nel governo talvolta mi pare eccessiva", ha commentato il rottamatore ai microfoni di Otto e mezzo invitando i compagni che siedono in parlamento a darsi una mossa: "C’è un po' di eccesso di democristianeria, di quella poco buona, nel governo". Alla fine la crisi è rientrata. I deputati hanno appoggiato il documento partorito dalla maggioranza e solo Giachetti ha votato la sua mozione. Ma restano le crepe: renziani, prodiani e bindiani hanno espresso platealmente il proprio dissenso con un documento che ha stigmatizzato la decisione di non mettere nero su bianco l’intenzione di arrivare a una nuova legge elettorale. Malumori circolano anche tra i veltroniani. Le crepe degli ultimi mesi sono tutt’altro che chiuse, tanto che qualcuno parla di un documento precongressuale cui starebbero lavorando diverse "anime" del piddì. Nonostante il segretario Guglielmo Epifani abbia confermato l’impegno per un nuovo sistema elettorale, i tempi si allungano. E su questo è arrivato l’affondo di Renzi. "Non vorrei che facessero melina, che il governo di larghe intese diventasse il governo di lunghe attese - ha detto il sindaco di Firenze - trovino una legge elettorale perché con il Porcellum non si va da nessuna parte". Le ripetute delegittimazioni del rottamatore non sono, però, piaciute a Pier Luigi Bersani che lo accusa di "non saper distinguere fra leadership democratica e uomo solo al comando".
Ieri mattina, nei corridoi della Camera, esponenti del governo, terrorizzati degli effetti dirompenti sul Pd, hanno provato a convincere Giachetti a ritirare la mozione. Ma è stato proprio dai renziani, con l’eccezione di Matteo Richetti critico sull’opportunità di certificare preventivamente il fallimento delle riforme, che è arrivata la linea più dura. Le pressioni non hanno avuto effetto: il deputato renziano ha deciso di andare fino in fondo e si è deciso di votare. Con Giachetti si sono schierati 34 tra renziani, prodiani, oltre a Pippo Civati. Ma alla fine tutti, tranne il diretto interessato, hanno deciso di adeguarsi alla disciplina del gruppo. L’intesa ha tenuto e al voto non si sono registrate altre defezioni, anche se una decina di renziani ha preferito non votare. "Il Pd ha fatto un altro errore madornale", ha spiegato Civati anche alla luce dell’adesione alla mozione sia dei Cinque Stelle sia delle truppe teleguidate da Nichi Vendola. Presupposto di una futura divisione del Pd. "Bisogna portare il partito a fare il centrosinistra o anche la sinistra perché queste forme mediate non si capiscono più - ha concluso Civati - se dopo il 'governissimo' facciamo il 'partitissimo' gli elettori ci abbandonano". D'altra parte le preoccupazioni di Civati sono convise da molti big di via del Nazareno e sono state pure messe, nero su bianco, in un documento.
Che la lettura sia trasversale lo dimostra la diversa estrazione dei 43 firmatari: si va da Rosy Bindi a Laura Puppato, dalla renziana Nadia Ginetti a Walter Tocci. Nel frattempo, mentre si attende la convocazione del congresso, Massimo D'Alema, "con tutto il rispetto per Epifani", rilancia la candidatura di Gianni Cuperlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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