I ricatti di Marino, il Nerone che vuole bruciare Roma

La minaccia del sindaco dopo lo stop al decreto sui fondi: "Domenica blocco la città". Stroncato dall'opposizione e anche dal governo. Renzi: soldi in arrivo, ma cambi tono

I ricatti di Marino, il Nerone che vuole bruciare Roma

Roma brucia e Nerone Marino suona la lira (ma bussa agli euro). «Io da domenica blocco la città», la minaccia del sindaco capitolino al governo che ha appena affossato il decreto Salva Roma. La capitale ha bisogno di quei soldi e per mettere il sale sulla coda a Renzi aizza il suo tiepido popolo: «Dovrebbero inseguire la politica con i forconi». Ma il nuovo premier è molto molto seccato dai toni di Marino, Palazzo Chigi sta studiando un decreto alternativo. «I soldi te li do, ma tu datti una calmata», il senso di una telefonata ad alta tensione tra Renzi e Marino, dopo la quale non a caso il sindaco romano ha inzuccherato le sue parole. Resta il fastidio di Palazzo Chigi, che non depone a favore del futuro di Marino. Una sorta di bocciatura che si aggiunge a quella dei leghisti (Matteo Salvini: «Poveri romani, meritate un sindaco migliore») e perfino di Scelta Civica (Linda Lanzillotta: «Marino ha perso la testa»).

Povero Marino, non ne azzecca proprio una. Il chirurgo chiamato al capezzale del Campidoglio sembra avere sbagliato intervento. O forse mestiere. I suoi primi nove mesi sono stati una via crucis di errori, gaffe, sfortune. Certo non è (solo) colpa di Marino se un'ondata di maltempo trasforma Roma in un'enorme piscina. Ma siccome fu l'eccezionale nevicata del febbraio 2012 a trasformare in macchietta l'Alemanno spalatore condannandolo un anno dopo alla sconfitta elettorale, diciamo che chi di beffa ferisce di beffa perisce: annegato.

Ma sono ben altri i danni del sindaco genovese, quello che nell'imitazione dell'attore Max Paiella è incapace perfino di pronunciare il romanissimo «dàje» («dagie! Dagie!» E giù risate, se ci fosse da ridere). Sulla sua «fedina municipale» grava l'aver scelto il colonnello dei carabinieri Oreste Liporace come capo dei vigili urbani, salvo poi accorgersi - a foto ufficiali scattate - che non aveva i requisiti giusti. Dimissioni e rampogne perfino da Repubblica: «Marino ha esaurito il credito», scrisse Francesco Merlo. Non gli andò meglio con l'amministratore delegato dell'Ama Ivan Strozzi: indagato, non fece in tempo a riempire i cassetti del suo ufficio. Restano al loro posto, invece, i 75 membri dello staff assunti nei soli primi mesi di mandato al costo di 4,6 milioni l'anno.

Ma a Marino sono andati di traverso soprattutto i bocconi migliori. La favoletta del sindaco ciclista è durata poche settimane: il tempo di vedere rantolare dietro la sua bici a pedalata assistita tre vigili ciclisti sottratti ad altri compiti e capire che era meglio l'auto blu. Quella della pedonalizzazione dei Fori, venduta come rivoluzionaria anche ai giornali stranieri, pure meno: auto e moto tutti i giorni si fanno beffe dello storico divieto. Altre spine della corona: i dipendenti del Comune assenteisti, sorpresi più volte dalle telecamere delle Iene a timbrare per poi andare a fare la spesa o altre faccenduole non previste dal mansionario (mercoledì un altro servizio su Italia 1). Il record dell'addizionale Irpef all'1,2 per cento raggiunto dopo l'ulteriore aumento dello 0,3 firmato Marino. L'emergenza spazzatura, con la foto di cinghiali a grufolare attorno a cassonetti periferici a fare (ahinoi, ahitutti) il giro del mondo come cartolina della Roma mariniana. E ancora: la tolleranza con l'«Occupy Porta Pia» dello scorso ottobre, pochi mesi dopo l'essersi scagliato contro la ben più innocua manifestazione agostana davanti a Palazzo Grazioli del Pdl.

E poi quante gaffe. Due per tutte: l'aver assicurato che Miroslav Klose, attaccante della Lazio, «non lascerà la Roma», errore imperdonabile in una città che vive di pizza bianca, doppia fila e pallone. L'essersi vantato di aver risparmiato 400 euro non acquistando la corona di fiori per i caduti di Nassiriya.

Dopo tutto questo non è un caso se alle ultime primarie del Pd romano siano andati a votare appena 50mila romani: un flop che Renzi ha addebitato proprio a Marino. Quello che ora strilla di salvare Roma con l'accendino ancora caldo in mano.

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