Non ce l'ha fatta. Prima ha messo i suoi 96 dipendenti in cassa integrazione, poi in aprile ha dichiarato fallimento, ha portato i libri contabili in tribunale, quindi poco più di un mese fa ha lanciato l'ultimo sos, ma nessun acquirente si è fatto avanti con il curatore fallimentare. Così la Pontelambro Industria, azienda che porta il nome del Comune della provincia di Como, oltre un secolo di storia alle spalle, una produzione da sempre all'avanguardia, nata come filanda col nome di Cotonificio PonteLambro, poi evolutasi con la produzione di fogli di Pvc e delle prime tovaglie in plastica idonee al contatto alimentare, è stata cancellata dal mondo imprenditoriale.
Un'eccellenza, riconosciuta anche dallo Stato tanto che, oltre un anno e mezzo fa, il medesimo Stato, cioè quello stesso che preme senza pietà sull'acceleratore della tasse, aveva commissionato alla fabbrica la realizzazione di un innovativo prodotto biodegradabile e, di conseguenza, aveva stanziato un pagamento di due milioni e mezzo di euro per consentire all'azienda di mettere a punto quel progetto.
Peccato che quei denari non siamo mai arrivati. Non un centesimo, non un acconto, non un segnale per onorare quell'impegno contrattuale. Peccato che quei due milioni e mezzo di euro servissero a riportare serenità e prospettive di produzione in un'azienda che, come mille altre, doveva fare i conti con il percorso a ostacoli delle nostre normative e con la sempre più aggressiva concorrenza dei mercati orientali
«Ci siamo augurati fino all'ultimo che i soldi per la commessa dello Stato arrivassero presto», è andata ripetendo Rosaria Majetta, sindacalisti della Cgil, che assieme con i dirigenti dell'azienda comasca ha battuto per mesi tutte le strade possibili cercando anche di far rimbombare la voce della Pontelambro a Roma, «perché - ha aggiunto, instancabilmente ad ogni occasione, Stefano De Marinis, amministratore unico dell'azienda - quei soldi avrebbero comunque potuto dare continuità all'azienda e avere un effetto positivo sul morale di chi fino all'ultimo ha cercato di non far crollare quella realtà produttiva che nella zona aveva dato lavoro a generazioni. La cassa integrazione straordinaria ci era servita per mantenerci sul mercato consapevoli di avere un prodotto valido ma poi, questa crisi globale...».
In ginocchio, dunque per un problema di liquidità. Mancati pagamenti con per centinaia di migliaia di euro anche da privati, penalizzati da quella stessa catena di insoluti, che soffoca l'Italia imprenditoriale che ha a che fare con la pubblica amministrazione. Ma con il credito più grande e insostenibile che, giorno dopo giorno, è pesato sempre di più nella catena di produzione dell'impresa, fino all'epilogo, inoppugnabile quanto drammatico, per quel centinaio di dipendenti e per le loro famiglie. Nemmeno il notevole ribasso rispetto al primo bando di vendita dell'azienda (una contrazione sul valore iniziale del 25 per cento, con l'importo ridotto a 1,725 milioni di euro) ha convinto i due potenziali acquirenti, uno italiano, l'altro olandese, ad acquistare la Pontelambro Industria. E così, in mancanza di un compratore disposto a riprendere le redini dell'attività di questa ultrasecolare impresa, Gianmarco Mogavero il curatore nominato dal tribunale di Como in seguito al fallimento, ha cominciato un mese fa ad occuparsi della vendita dei beni mobili: impianti, macchinari e brevetti dell'azienda per soddisfare, almeno in parte, le richieste dei creditori.
«Negli ultimi mesi - è stato l'amaro commento di Mogavero - abbiamo tentato di tutto ed è stato fatto di tutto. Decine di incontri con potenziali acquirenti, sindacati e tecnici non sono stati sufficienti per trovare una soluzione accettabile.
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