Migranti, quanto ci costano i mancati rimpatri: ecco le cifre

Burocrazia, accordi con i Paesi di provenienza, lungaggini europee: alla fine solo una scarsa percentuale di stranieri viene rimpatriata. Il resto rimane a carico dell'Italia

Migranti, quanto ci costano i mancati rimpatri: ecco le cifre

I dati parlano chiaro, la gestione dell'immigrazione ha un costo per il nostro Paese. Costo che va ad incrementarsi quando qualche meccanismo nel sistema internazionale si inceppa (ciò avviene spesso e volentieri) e vengono meno le procedure di rimpatrio. Sono tanti, troppi, gli stranieri senza permesso di soggiorno che dovrebbero fare ritorno nei Paesi di provenienza ma rimangono in Italia. Le cause sono molteplici: la burocrazia, i mancati accordi con gli Stati di appartenenza, la lentezza delle istituzioni europee nel dare risposte.

I mancati rimpatri costano

Questo si traduce in ulteriori esborsi per le casse dello Stato, dato che è necessario provvedere alle necessità dei migranti rimasti nei centri per il rimpatrio.

Analizzando il report realizzato da Openpolis grazie ai dati forniti dal ministero dell'Economia, parliamo di cifre considerevoli. Nel 2021 solo il 49,7% degli extracomunitari detenuti nei Cpr ha effettivamente fatto ritorno nel Paese d'origine. Gli altri sono rimasti una spesa per l'Italia. Il governo ha dovuto trovare ulteriori risorse per provvedere alle persone rimaste nelle strutture. Si stimano 5,4 milioni in più per il 2023, e ben 15 milioni in più per il 2024, proprio per provvedere ai costi dei centri per il rimpatrio.

Come se ciò non bastasse, per capire a quanto ammontano le spese collegate all'immigrazione è sufficiente considerare che nell'ultima legge di Bilancio sono stati stanziati oltre 32 milioni di euro per il 2023 e 46 milioni per il 2024 per l'incremento dei centri di permanenza per il rimpatrio sul territorio nazionale.

In teoria, un extracomunitario dovrebbe restare nel centro solo il tempo necessario allo svolgimento di tutte le procedure per il rientro nel suo Paese. In pratica, però, i periodi si allungano parecchio. Anzi, in alcuni casi, il rimpatrio non avviene. Prova ne è che le percentuali sono piuttosto scarse. "La quota più elevata si è raggiunta nel 2017 (prima di quell’anno esisteva un altro tipo di strutture: il Cie), quando è stato rimpatriato il 58,6% dei migranti presenti nei centri di detenzione amministrativa. Anche nel 2020 la cifra si è attestata sul 52,9%. In tutti gli altri anni, tuttavia, non ha raggiunto il 50%. La quota più bassa in questo senso si è raggiunta nel 2018: 43,2%", è quanto si legge nel rapporto di Openpolis.

L'Italia in pressing sull'Europa

Da qui le ragioni del governo italiano di chiedere con insistenza alla Commissione europea rimpatri su base continentale e non più nazionale. Serve un sistema europeo per rimpatri ed espulsioni, oltre che un sistema di vigilanza europea nel Mediterraneo.

"L'immigrazione irregolare si combatte fermando le partenze prima ancora degli sbarchi", ha affermato ancora una volta il ministro dell'Interno Matteo

Piantedosi in una recente intervista a Il Messaggero. Si attende dunque la prossima riunione del Consiglio europeo, prevista per i giorni 9 e 10 di febbraio. Sul tavolo straordinario si parlerà proprio di immigrazione.

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