Metti una cronista che intercetta casualmente in un bar una strana conversazione tra due politici. Metti che la giornalista, invece di scrivere subito il suo scoop, vada a parlare con i pm. E metti ancora che la stessa giornalista, per ciò che ha casualmente ascoltato, diventi uno dei testimoni di un'inchiesta importante come quella sulla trattativa Stato-mafia. Aggiungi anche che il pm titolare di quell'inchiesta, Antonio Ingroia, decida di mollare per un po' la toga e di candidarsi a premier. Combina tutti questi ingredienti ed ecco il risultato: l'ex pm candidato premier regala alla sua testimone-giornalista-intercettatrice, teste dell'inchiesta che lui prima guidava, un posto in lista per una poltrona in Parlamento.
Detta così sembra una spy story. Invece è cronaca. La cronaca della candidatura al Senato, in una Sicilia che non è la sua terra ma di cui a lungo si è occupata con le sue inchieste sulla mafia, di Sandra Amurri, marchigiana, giornalista del Fatto Quotidiano. Una candidatura per meriti investigativi si direbbe, anche se in passato, da indipendente, la Amurri si è candidata senza successo, al Senato, con Idv. Ma non può non saltare agli occhi il fatto che, per la casuale intercettazione di un colloquio tra l'ex ministro Dc Calogero Mannino e l'Udc Giuseppe Gargani, la Amurri è diventata una testimone importante dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia guidata da Ingroia. E che ora è una candidata dell'ex pm di cui è stata teste d'accusa.
La storia risale a un anno fa circa. È il 21 dicembre del 2011, la Amurri, per lavoro, ha un appuntamento in uno dei luoghi a più alta densità di politici di Roma, il bar Giolitti, pochi passi da Montecitorio. Mentre attende arrivano Mannino e un signore dai capelli bianchi che la Amurri non riconosce ma che fotografa con l'iPhone. Poi aguzza l'orecchio. E sente (sentirebbe, a parere di Mannino che parla di «delirio») dire all'ex ministro, preoccupato: «Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E quando va, deve dire anche lui la stessa cosa... quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello, il padre... di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano». L'uomo coi capelli bianchi annuisce, dà rassicurazioni. La Amurri non capta più nulla. Ma quello che ha è abbastanza. Consulta Antonio Padellaro e Marco Travaglio, che riconosce nella foto scattata con l'iPhone Gargani. Quindi aspetta. Il 12 gennaio la giornalista apprende che i pm di Palermo titolari dell'inchiesta sulla trattativa stanno interrogando De Mita, il 23 febbraio che Mannino è indagato per la trattativa. Comprende. Comprende di avere in mano uno scoop. Ma non scrive nulla. Contatta amici degli ambienti investigativi, la notizia arriva alle orecchie di Ingroia& Co, e così viene interrogata, come teste. Anzi, diventa uno dei testimoni chiave dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Solo il 10 marzo, dopo che è già tutto a verbale, la Amurri racconta sul Fatto Quotidiano la storia.
Ora il salto di qualità, la candidatura: l'ex pm e la testimone insieme, dall'aula di giustizia alla politica. In una lista, «Rivoluzione civile», che vede già in campo altri giornalisti militanti a sinistra: Saverio Lodato dell'Unità; ma soprattutto Sandro Ruotolo, spalla storica di Michele Santoro, che sarà candidato governatore in Lazio, per l'ex pm. Ingroia presenta le liste oggi. E intanto va in tv. Ieri è stato ospite della nuova trasmissione di Lucia Annunziata, Leader. Ed è stato il putiferio. Con il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, che a Ingroia ha contestato la candidabilità in Sicilia, dove era in attività sino a due mesi fa (per legge doveva fermarsi sei mesi fa) ma anche con Conchita Sannino di Repubblica. «Con lei non parlo», ha replicato Ingroia a Sallusti minacciando querela perché il direttore, denunciando la violazione etica, gli aveva dato del mascalzone.
Ma l'accusa di essere «una provocatrice» se l'è beccata anche la Sannino, che aveva stigmatizzato le critiche di Ingroia alla Consulta per la sentenza che ha dato ragione al capo dello Stato intercettato: «La Corte costituzionale è corte sui generis, sono giudici di nomina politica. Stia zitta, non sa niente». Vietato criticare. Pm dixit.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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