Prima che il sequestro di Cecilia Sala in Iran si risolvesse con la sua liberazione, grazie allo scambio con il fabbricante di droni Abedini, proposi a Giorgia Meloni di agire proprio così, anche se ci voleva un coraggio leonino, ma al diavolo le pretese americane di estradarlo a casa loro. In realtà l'avevo sfidata. Mi cito, eliminando le prolissità: «Ho in mente un precedente: Sigonella, ottobre 1983. Craxi per tutelare gli interessi dell'Italia, lasciò andare libero un conclamato capo terrorista. Resistette alla pressione fisica e morale degli americani, che dal loro punto di vista avevano ragione, e fece valere la sovranità del nostro Paese. Giorgia Meloni non mi pare da meno di Bettino Craxi».
Constato: ho azzeccato il pronostico. Anzi Giorgia è stata più brava del predecessore. Il quale infatti aveva agito alla garibaldina, camicia rossa, petto in fuori. Come il brigante Ghino di Tacco cui si ispirava, diede il colpo, trionfò, ma poi non si riparò. Dieci anni dopo Sigonella, quando si trovò nei guai, da Washington nessuno alzò un dito per difenderlo. Anzi i segugi ebbero benedizioni dal consolato americano di Milano. Il Cinghialone (il nomignolo è opera mia; e l'accrescitivo scherzoso esprimeva persino simpatia, ma, vista la barbarie che profetizzava, me ne vergognai e feci in tempo a dirglielo) era consapevole che l'avrebbe pagata. Rifiutò per questo, quando ad Hammamet il suo gigantesco corpo malato esigeva un'operazione ad alto rischio, di farsi ricoverare a Houston nella clinica frequentata da Agnelli e Berlusconi. «Non mi fido del presidente Clinton. Gli americani non hanno mai dimenticato la beffa di Sigonella. Me la farebbero pagare». A riferirlo è Aldo Cazzullo, e trovate questa frase a pagina 47 del volume appena uscito da Rizzoli, con la sua firma (Craxi. L'ultimo vero politico, I racconti e le immagini, pag. 280, 25, ed è imperdibile per i testi ma, caso raro, anche per le fotografie che si infilano tra le costole come lame).
Ecco, Meloni a differenza del predecessore ha mostrato nel caso Sala-Abedini la medesima determinazione, ma una capacità diplomatica andreottiana (absit iniuria verbis), senza abusare della buona fede di nessuno. Ha trattato con il nuovo presidente Donald Trump, spiegando le proprie ragioni, che in fin dei conti convenivano anche agli americani.
Per questo ho la ragionevole certezza che Giorgia avrà vita lunga. E non perché mi fidi eccessivamente della sprovvedutezza dei nemici, che com'è noto allignano specialmente tra gli amici, ma delle doti della signora che sanno manifestarsi all'occorrenza impetuose e in caso di necessità simpaticamente sornione. Sono qualità rare. Le aveva Silvio Berlusconi, che ha marcato con la sua impronta venti anni della nostra storia. Ma il Cavaliere aveva due limiti: una grande azienda da tutelare da assalti ingiusti, e il bisogno fisico di piacere a tutti. La ricchezza e le doti seduttive aiutano, soprattutto con le donne. In politica meno: se sei
un leader, obbligano a manovre di accomodamento che consentono agguati e altolà. Un esempio: la giustizia. Possibile che solo con questo governo sia possibile vedere vicina al traguardo la sua riforma con la separazione delle carriere tra pm e giudici?
C'è un'altra prova che attende Giorgia. Ed è quella su cui è andato a schiantarsi Craxi: la ristrutturazione dei meccanismi istituzionali per rendere possibile governare davvero a chi fosse scelto dal voto popolare per questo scopo. Bettino non ci riuscì. Il suo famoso decisionismo restò un elemento del suo carattere e della sua azione. Cazzullo fa emergere splendidamente, insieme agli errori, il temperamento di un gigante.
Come fu fatto cadere? Una magistratura ostile? Certo che sì. Ma, per omissione, Craxi consentì a Mani pulite di strozzare i partiti. Questo errore non smisi mai, nei miei dialoghi pubblici e privati, di rinfacciare a Bettino. D'accordo, la politica ha bisogno di finanziamenti, ma perché insistere nell'aggirare la legge per averli?
In tal modo, lo rimproveravo, avete lasciato mano libera ai ladri, gli dissi all'hotel Raphael, nella topaia che fungeva da suo squallido alloggio. Si era così circondato di gente che si era arricchita. Lui lo sapeva, mi disse, ma aveva preferito non intervenire per porre fine a tale andazzo malsano in quanto sarebbe stato preso per matto. «Non è che si rubasse per il partito, si rubava anche al partito», spiegò. Nessuno lo ammise, l'unico a farlo fu Craxi. E lo fece in quella stanza di albergo, davanti a me, e poi alla Camera dei deputati. Questo accadeva al tempo in cui dirigevo l'Indipendente e stavo dalla parte di Antonio Di Pietro. Glielo ricordai, impietosamente e ora mi dispiace, durante le telefonate da Hammamet, regolarmente alle ore 23, di cui mi gratificò fin quasi alla morte. Mi è capitato per anni, a quell'ora, di guardare l'orologio, aspettando lo squillo.
È finita come sappiamo, con il sacrificio del caprone espiatorio. E che si ricordi com'era davvero, pregi e difetti, ma non certo quelli di un criminale bensì di un vero, grande politico, è opera meritevole. Cazzullo si pone in questa linea, non lo fa da politologo o storico, ma da cronista, che scrive con quella rara qualità che ti fa sedere piacevolmente in prima fila davanti al palcoscenico. Nella sua memoria e sui suoi appunti di allora si agitano piccoli e grandi attori. A questo punto la prosa di Aldo ti tiene svegli i sensi, e ancor più accende l'interruttore di quell'attrezzo dimenticato che si chiama coscienza. L'ultima riga condensa il nostro modo tutto italiano di interpretare (e lo si vide con la fine di Craxi, Moro, Mattei, Andreotti) il motto latino homo homini lupus. Scrive: «... non siamo un Paese da operetta, ma da tragedia. Ci pensiamo tolleranti, e spesso lo siamo anche troppo; ma a volte diventiamo feroci».
P.S. Il Fatto quotidiano, venerdì scorso, traendola dal libro dello storico Andrea Spiri, cita da una presunta «lettera inedita» di Craxi a Fedele Confalonieri del 20 marzo 1995, queste parole: «Mi
informano stamane che persino una Lettera al Direttore indirizzata al Direttore del Giornale, contenente precisazioni resesi necessarie a seguito di un articolo, che, del resto, al pari di altri, conteneva nei miei confronti espressioni beffarde e notizie del tutto inesatte, non è stata pubblicata. Ho poco da dire su questo personaggio (Vittorio Feltri, ndr) che, Direttore dell'Indipendente, chiese di essere da me ricevuto all'hotel Raphael per segnalare e raccomandare la sua prepensione e passare al Giornale. Uno dei tanti bugiardi che ho incontrato lungo la mia strada».
A proposito di bugiardi, e in mala fede, se ce n'è uno certificato, è proprio lo Spiri, sputtanato allegramente dal grande Stefano Lorenzetto. Nel 2007 Spiri iniziò la propria carriera accademica infilando nella sua tesi di dottorato una patacca sesquipedale, di cui non si accorse il professore che lo guidò come tutor, Gaetano Quagliariello. Aveva attribuito a Indro Montanelli la frase, da lui mai scritta, «turarsi il naso ma votare Dc», segnalando in nota l'articolo dove sarebbe contenuta. Be', non c'era...
Quanto a me, non posso chiedere certo conto all'esule sepolto in Tunisia delle falsità sempre che la lettera sia autentica riprodotte dallo Spiri, che avrebbe dovuto verificare l'episodio con me, essendo ancora vivo, per un minimo di deontologia che riguarda persino gli storici. Ho precisa memoria di quell'incontro. Per cui e uso una formula che normalmente mi ripugna sul mio onore affermo che 1) quell'incontro fu richiesto da Bettino Craxi; 2) non chiesi alcuna raccomandazione per andarmene dall'Indipendente al Giornale. Non è vero e neppure verosimile. Nel 1993, quando attraversai la soglia dell'hotel Raphael, l'Indipendente andava a gonfie vele, e non esisteva ragione al mondo che potesse indurmi all'idiozia di farmi raccomandare da un uomo in disgrazia persino ad Arcore per passare in un Giornale allora in pratica fuori commercio.
Gli incontri con Craxi, come li ho appena descritti prima di questa smentita che mi ripugna, furono sempre sinceri e persino affettuosi, e ho un ricordo commosso delle nostre telefonate anche in tempi tempestosi. Semmai si interroghino sul tema i figli Stefania e Bobo con i quali conservo ottimi rapporti. Nell'Archivio del Senato è conservato un biglietto manoscritto del 19 ottobre 1996, in cui l'ex premier, che non è mai stato un ipocrita, scrive: «Caro Direttore, buon lavoro, cordialmente. B. Craxi». Di questo biglietto ho scoperto ieri l'esistenza.
Ricordo molto bene invece che, a differenza di altri che opposero svariate ragioni al rientro in Italia dell'ex premier per curarsi da uomo libero, chiesi nell'inverno del 1999, quando ero direttore del Qn, un articolo a Giulio Andreotti che perorò la causa. Invano.
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