nstabilità del lavoro, abitazioni sempre più care, bassa crescita economica, individualismo galoppante, invecchiamento della popolazione, grande incertezza a causa della pandemia. Ognuno può pescare ciò che vuole nel mucchio dei tanti motivi che inducono gli italiani a non fare più figli. Ma fa un certo effetto leggere i numeri degli indicatori demografici dell'Istat che segnala un record: la natalità è al minimo storico dall'Unità d'Italia. La situazione è preoccupante. Dopo 160 anni, sono nati nel 2022 meno di 400 mila bambini, per la precisione siamo fermi a quota 393 mila. Vale a dire che per 1000 abitanti nascono meno di sette neonati, mentre 12 persone muoiono. La media nazionale per ogni donna si ferma a 1,24 figli (contro l'1,8 della Francia) e partorisce intorno ai 32 anni. Solo il Trentino-Alto Adige è in controtendenza con il suo record di 1,51 figli per donna. Seguono Sicilia e Campania, in cui però l'indice si abbassa rispettivamente a 1,35 e 1,33. Regioni con fecondità decisamente contenuta sono il Molise e la Basilicata, con un valore di 1,09 figli per donna, fa peggio la Sardegna in cui c'è meno di un figlio per ogni coppia (0,95), ormai un trend triennale. Tra le province, il primato della fecondità spetta a Bolzano (1,65), seguita da Gorizia (1,45), Crotone (1,44), Ragusa (1,43), Palermo (1,42) e Catania (1,41). Non c'è solo l'aspetto socio-economico dietro al crollo delle nascite. C'è anche una nazione che invecchia. L'età media dell'italiano passa da 45,7 anni a 46,4 anni. E l'Istat rileva che tra le cause della denatalità «pesano il calo dimensionale e il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive, dai 15 ai 49 anni». L'Italia sembra ormai popolato dalla terza e la quarta età. Un italiano su quattro ha oltre 65 anni, visto che se ne contano 14 milioni 177mila. Gli ultra 80 sono oltre 4 milioni, il 7,7% della popolazione. L'aspettativa di vita cresce però sempre più. Le donne vivono mediamente fino a circa 85 anni mentre gli uomini almeno fino a 80 anni. In 20 anni è pure triplicato il numero degli ultracentenari che ora sono 22mila. Ma i decessi restano ampiamente superiori alle nascite, tanto che la popolazione si è ridotta del 3% in un anno: siamo in tutto 58 milioni e 851mila, 179mila in meno rispetto all'anno precedente. Il calo della popolazione residente «è frutto - spiegano i ricercatori - di una dinamica demografica sfavorevole che vede un eccesso dei decessi sulle nascite, non compensato dai movimenti migratori con l'estero. I decessi sono stati 713 mila, le nascite 393mila, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale quindi di -320mila unità». Il calo demografico interessa soprattutto il Mezzogiorno (-6,3), cui segue il Centro (-2,6) meno il Nord (-0,9). Sul piano regionale, la popolazione risulta in aumento solo in Trentino-Alto Adige (+1,6), in Lombardia (+0,8) e in Emilia-Romagna (+0,4). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata, il Molise, la Sardegna e la Calabria, tutte con tassi di decrescita più bassi del -7. In compenso crescono gli stranieri: 5 milioni e 50mila a gennaio, più di 20mila rispetto al 2022. E quasi il 60% di loro preferiscono vivere al Nord, nell'Italia più produttiva, per un'incidenza dell'11%, la più alta del Paese. L'Italia recupera attrattività anche nei confronti di chi proviene dall'estero: il saldo migratorio netto sale da +88mila nel 2020 e +160mila nel 2021 a +229mila nel 2022 (con 361mila iscrizioni dall'estero e 132mila cancellazioni per l'estero).
Ma sono numeri che non cambiano molto la situazione. l'Istat spiega che il saldo migratorio con l'estero positivo appare «in grado di compensare solo in parte l'effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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