Lega al minimo in Veneto: la guerra a Monti non paga

Sondaggi deprimenti per il Carroccio: nella storica roccaforte la Lega crolla di dieci punti. E ci si interroga sulle future alleanze da mettere in campo fino al 2013

Lega al minimo in Veneto:  la guerra a Monti non paga

RomaIl conto alla rovescia verso le amministrative prosegue inesorabile. E la Lega, raffreddati i fuochi dell’entusiasmo per il recupero della verginità perduta e il ritorno alla navigazione in solitaria, si interroga con qualche inquietudine sulla politica delle alleanze da mettere in campo da qui fino al 2013.
Nel movimento qualche dubbio sulla bontà delle scelte strategiche compiute all’indomani della caduta del governo Berlusconi inizia a serpeggiare. La scommessa di attestarsi nella trincea dell’opposizione solitaria al governo Monti non sta pagando. E mentre l’esecutivo del Professore resiste e si fa forte dell’emergenza, l’equazione leghista «scelta aventiniana» uguale «consensi in aumento» - calcolo politico banale e condivisibile nella sua apparente semplicità - viene smentita da due mesi a questa parte da ogni sondaggio nazionale e locale.

L’ultima cattiva notizia è arrivata l’altro ieri dal sondaggio Tecnè commissionato da Affaritaliani, dove il Carroccio figura al 7% a livello nazionale. Ma il vero campanello d’allarme risuona nel Veneto dove altre rilevazioni, ben note ai dirigenti locali, danno il Carroccio sotto di dieci, undici punti rispetto ai massimi del 2010, quando venne toccata quota 35%. Il quadro del consenso sul territorio governato da Luca Zaia vedrebbe, infatti, il Carroccio attorno al 24-25%; il Pdl poco sopra il 20% più o meno con lo stesso patrimonio di consensi del Pd; l’Udc al 6-7%. Farebbero, invece, il pieno di voti le liste dei grillini, sopra il 7%, mentre c’è curiosità per le performance delle liste indipendentiste venete. Il tutto corredato da una postilla fondamentale: la presenza di una amplissima platea di indecisi, quasi il 50% dell’elettorato.

Nella roccaforte del leghismo, insomma, il ritorno alle origini, lo spostamento delle lancette alla seconda metà degli anni Novanta e la riedizione del partito di lotta non sembra pagare. E tutto questo nonostante la popolarità del governatore Luca Zaia e del sindaco di Verona Flavio Tosi. «I sondaggi non contano, contano i voti» la reazione classica dei veneti. Altri scherzano: «Meglio meno, ma buoni». Informalmente, però, qualcuno ammette che qualche problema nel rapporto con il ceto produttivo esiste. «Fermo restando che, dando per buoni i sondaggi, saremmo sempre il primo partito e avremmo comunque un bacino elettorale pari a un quarto della popolazione», spiega un parlamentare del Carroccio, «è evidente che bisogna fare i conti con un complessivo disorientamento. I veneti hanno il timore di non essere rappresentati a Roma. Per gente così pragmatica è inevitabile mettersi alla finestra. Nessuno ormai concede deleghe in bianco. Dobbiamo far capire di poter incidere e di saper comunque rappresentare le loro istanze».

C’è chi ritiene che le divisioni interne tra bossiani e maroniani abbiano avuto un effetto negativo rispetto alla percezione di un movimento considerato estraneo alle classiche liturgie politiche. E chi individua nel metodo Tosi, con le sue posizioni eterodosse, moderate e istituzionali, il manuale da seguire per ritrovare la via del consenso.

Su tutto un’unica certezza: saranno le amministrative la vera cartina di tornasole per il futuro, il vero test con cui stabilire se il Carroccio ha i numeri per tentare l’avventura in mare aperto o dovrà ripiegare nel porto delle alleanze.

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