Nel giorno della festa della Repubblica, che liquida con un «soldi buttati nel cesso», Roberto Maroni arriva a metà del guado. La Lombardia è presa. Il nuovo segretario è Matteo Salvini. Il dubbio non era vincere, ma stravincere. Serviva uno stacco forte per segnare chi avrà ragione da qui in poi, e l’eurodeputato ce l’ha fatta: finisce con 403 voti a favore, 129 contrari. Anche il “non voto” di protesta è ridotto: 24 assenti su 577 delegati, 3 schede bianche, 9 nulle. La seconda parte della traversata oggi a Padova, col congresso veneto. Dicono che quella sì, non sarà una passeggiata, perché Flavio Tosi rischia di farsi insidiare da Massimo Bitonci, forte del sostegno dei bossiani, ma anche dei maroniani in rotta col sindaco di Verona.
A Bergamo finisce con Salvini a promettere che da qui in poi «non voglio più sentir parlare di bossiani e maroniani, andiamo avanti uniti». Intanto però sono suoi gli uomini che vuole a fianco: il bergamasco Cristian Invernizzi e il bresciano Fabio Rolfi. E a prendere il suo posto in consiglio comunale a Milano sarà un altro maroniano, Igor Iezzi, che da segretario cittadino non lascia al secondo dei non eletti, Paolo Bassi. La giornata al PalaCreberg di Bergamo non è semplice. La Lega resta rumorosa. Terremotata, come dice lo stesso Bobo dal palco, cercando però di galvanizzare i 2mila militanti: «Basta menate, siamo abituati a ripartire dalle macerie». A dar voce ai calcinacci è Cesarino Monti, lo sfidante di Salvini. Gli danno la parola per primo, il posto di chi perde, facendo testa e croce. Solo che non dicono chi è la testa e chi la croce e così lui attacca subito. Denuncia il «boicottaggio persino delle firme a mio sostegno». Poi le dice tutte, le rogne, in un crescendo di fischi e insulti che a un certo punto gli fanno dire: «Matteo, calma le tue frange». Il pubblico se le dà pure. Eugenio Zoffili, responsabile dei giovani, gli urla buffone e innesca una serie di spintoni sedati dal servizio d’ordine. Monti attacca chi «ha girato le spalle a Bossi», affonda su Salvini «sempre in tv», critica Maroni «che non è equidistante». Piange e fa piangere Umberto in prima fila quando racconta che «io ho un tumore e avrò la forza di combatterlo. Ma non sono sicuro si possa combattere il cancro entrato nella Lega, che non sono Salvini e Maroni, ma chi l’ha trasformata in un postificio, perché è il potere che ci ha rovinati seminando odio». Conclude attaccando la Lega 2.0 delle espulsioni e degli occhiali rossi al posto dei fazzoletti verdi, «e smettetela di scrivere su quel c... di Facebook». Dicono gli altri che a metterlo lì siano stati «quelli che sentono traballare la cadrega», da Roberto Castelli a Marco Reguzzoni. Lui smentisce e dà voce a chi, a partire da Roberto Calderoli, avrebbe preferito un candidato unico più moderato, quel Giacomo Stucchi che invece ha fatto un passo indietro e ora la mette così: «Oggi è un po’ come se mio fratello avesse sposato la donna che ho sempre desiderato». Salvini sul palco chiarisce che «se vado in tv è perché Bossi e la Lega meritano di essere difesi». Poi fa un discorso programmatico, citando la Lega Lombarda dell’83 che campeggia sulla prima pagina della Padania, e ricucendo con Giancarlo Giorgetti «che spero di avere in squadra».
Maroni detta la linea. Cita Aristotele, siamo quello che facciamo, e Mandela, il vincitore è un sognatore che non si è mai arreso. La Lega per il momento «se ne frega delle alleanze», tanto più che è «Berlusconi che comanda nel Pdl e questa non è una buona notizia»; torna sul territorio con «una grande manifestazione contro l’Imu il 17 giugno» e punta a prendersi la Lombardia, dopo Piemonte e Veneto, perché «è dal Nord che dobbiamo sfidare Roma».
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