Resa dei conti in Scelta civica, passa la linea dei "popolari"

il Prof cambia idea sul Gruppo misto dove sarebbe stato circondato dai vendoliani. Ma in Scelta civica i "popolari" non perdonano: silurato il capogruppo "montiano" Susta

Resa dei conti in Scelta civica, passa la linea dei "popolari"

Dalla parte di Scelta civica l'indecisione regna sovrana. Mario Monti continua a piroettare su se stesso. E, a furia di volteggiare, eccolo tornare sui propri passi. Niente più Gruppo misto per lui. Non avrebbe gradito i nuovi compagni di banco, capitanati dalla vendoliana di ferro Loredana De Petris. E il partito sembra rimandare una scissione che, fino a poche ore fa, sembrava inevitabile.

Per il momento, Scelta civica sembra sopravvivere a se stessa. A Palazzo Madama non ci sarà una scissione tra i popolari, con la componente Udc, e i filomontiani. Alla riunione del partito con il ministro della Difesa Mario Mauro è stato votato, infatti, un documento in tre parti. All’unanimità i diciotto presenti hanno ribadito il "pieno sostegno al governo", mentre il mantenimento del gruppo unitario e le dimissioni del capogruppo "montiano" Gianluca Susta sono state votate solo dagli undici "popolari": il ciellino Mauro, l’Udc Antonio De Poli e nove civici. Gli altri, più vicini alle posizioni di Monti, non hanno voluto partecipare al voto. È solo l'inizio della resa dei conti in una partita in cui Monti esce con le ossa rotte. Tanto che proprio oggi si è visto costretto a tornare sui propri passi per non finire inghiottito nel buio dell'anonimato.

Per giorni, colmo di rancore e straripante di fiele, il bocconiano che per tredici mesi ha terrorizzato gli italiani dallo scranno di Palazzo Chigi ha puntato il dito un po' contro tutti. Insulti, ricriminazioni e ripicche. È arrivato addirittura a prendersela con Daria Bignardi e il cagnetto Empy. Ha puntato i piedi, ha attaccato i suoi alleati che l'hanno sconfessato, ha occupato le testate dei quotidiani lanciando accuse al vetriolo con Silvio Berlusconi e il centrodestra da depurare. Adesso che non è più leader nemmeno del centrino e che è rimasto solo, a Monti non rimane altro che l'investitura da senatore a vita. Un regalo da 13mila euro fattogli dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per non si sa quali meriti. Che, quindi, l'ex premier rimanesse saldo in parlamento, non era certo da metterlo in dubbio. Stando a quanto aveva annunciato nei giorni scorsi, per lui si sarebbero dovute spalancare le porte del Gruppo misto. Qui, oltre alla combriccola nominata da Napolitano (fa eccezione solo l'ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi), siedono un membro non iscritto ad alcuna componente, i tre senatori del Gap, i tre senatori che hanno abbandonato il Movimento 5 Stelle e i sette senatori eletti tra le fila di Sinistra e Libertà. A causa del flop elettorale il partito di Nichi Vendola ha espresso troppo pochi senatori per poter creare un gruppo autonomo. Cosa abbia spinto Monti a tornare sui propri passi non è facile dirlo. Probabilmente ha pensato di spendere ancora le proprie forze nel partito che lui stesso ha voluto fondare per rimettere insieme i centristi. O, forse, non gradiva più di tanto i compagni di banco: sarebbe finito circondato da comunisti duri e puri.

Nella riunione, dove la notizia che Monti era tornato sulla decisione di dimettersi anche dal gruppo oltre che dalla presidenza non ha sortito particolari effetti, Mauro ha ribadito l’esigenza di mantenere l’unità interna, riproponendosi nelle vesti di "colomba" la cui principale preoccupazione restava quella di assicurare la rotta e la stabilità del governo. È la linea che alla fine è passata, anche se era già scritto nei numeri della vigilia. Ora la partita si gioca sulla successione di Susta, anche se non è scontato che la scelta possa cadere, meccanicamente, su un esponente del gruppo dei 12.

Una vicenda che ha un risvolto anche sul fronte Camera, visto che fra coloro che hanno partecipato all’incontro c’è chi assicura che dal punto di vista dei soccombenti a Palazzo Madama ci sarebbe come arma di pressione (o ritorsione) una possibile sfiducia nei confronti del capogruppo alla Camera Lorenzo Dellai.

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