Stanchi della teoria di manovre e manovrine per far quadrare conti che non tornano mai? Stressati dalla sindrome da default, a rischio recidiva a ogni stormir di spread? No problem. Geniali quanto sbrigativi, i Dr. House del Fondo monetario internazionale hanno già sotto mano la cura: un prelievo forzoso del 10% su tutti i conti correnti dell'eurozona, e passa la paura. Insomma: una versione reloaded e su scala continentale dello scippo sui depositi di Cipro della scorsa primavera, con cui sarebbe possibile riportare il debito pubblico ai livelli della fine del 2007.
Una misura one shot, si precisa con meticolosità da ragioniere, al cui confronto quel 6 per mille sottratto nottetempo da Giuliano Amato nel '92 dai nostri c/c per salvare la lira assume la lievità di una carezza. Quello del Fondo è invece un ceffone sonoro che rischia di far davvero male. Solo le famiglie hanno in giacenza nei caveau delle banche 900 miliardi di euro, ai quali vanno sommati i 200 miliardi di proprietà delle imprese e altri 300 miliardi che appartengono alle compagnie di assicurazione e agli stessi istituti di credito.
A conti fatti, una torta da 1.500 miliardi. Da sacrificare «visto che le misure drastiche di austerity non hanno avuto i risultati attesi e non hanno portato ad una riduzione del debito pubblico». Quelle stesse misure che proprio il Fondo, insieme con Ue e Bce, ha imposto ai Paesi più in crisi. Cioè: loro hanno creato il danno, e adesso noi dobbiamo metterci una pezza. Pagando di tasca nostra.
La proposta del Fmi è illustrata in un box all'interno del ben più ampio Fiscal Monitor, il rapporto di ottobre. Pur scarsamente visibili, queste poche righe hanno scatenato ieri reazioni immediate. Costringendo il portavoce della numero uno, Christine Lagarde, a intervenire per precisare che il Fondo «non raccomanda» alcuna patrimoniale. Una presa di distanza poi ribadita in un tweet: «Non esiste nessuna proposta/ipotesi/idea Fmi di prelievo forzoso sui conti».
Sarà. Curioso, tuttavia, che l'attenzione dell'istituto di Washington si sia focalizzata su una misura terribilmente impopolare e dai palesi effetti collaterali, primo fra tutti il rischio di un bank run, ossia di una fuga dei capitali su vasta scala. Un pericolo peraltro ben presente ai proponenti: una tassa sulla ricchezza, «se attuata prima che ci sia la possibilità di sfuggirvi, non distorce il comportamento dei risparmiatori e può anche essere considerata giusta da alcuni di loro». Vero: mai porre limiti al masochismo. Singolare, inoltre, che un «piccolo box in cui si riporta semplicemente le discussioni e le esperienze di un prelievo dei capitali» arrivi a suggerire in che percentuale succhiare dai conti altrui. E perché citare, per dar corpo alla tesi, il dream team di economisti favorevole al prelievo coatto, da Pigou a Ricardo, da Schumpeter a Keynes (ma «prima che cambiasse idea»)?.
Spesso, a pensar male non si sbaglia. Soprattutto dopo quanto accaduto a Cipro. «Un caso unico, non un modello di salvataggio», si era affrettata a precisare Bruxelles dopo la spremitura fino al 50% dei depositi nell'isola. Salvo poi innescare un clamoroso dietrofront con il passaggio dal bail out, cioè dal paracadute pubblico, al bail in, dove sono i privati a dover aprire il portafogli.
Con l'accordo comunitario sul cosiddetto «fallimento ordinato» delle banche, i primi a pagare in caso di default sono infatti gli azionisti, poi gli obbligazionisti meno garantiti e quindi i possessori di conti correnti. Nessuno, o quasi, si salva. A parte la banca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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