Vista da chi è in trincea, il presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici, com'è la situazione del settore immobiliare?
«In una parola? Preoccupante. Non c'è più nessuna politica di sostegno da parte dello Stato, non solo per gli investimenti sociali, ma neppure a livello strategico. Il settore è abbandonato a se stesso, e sopravvive solo grazie all'iniziativa privata. Ma ormai è allo stremo, stretto fra il martello della crisi e l'incudine delle imposte: gli italiani non hanno più fiducia nell'investimento immobiliare. E se si continua ad agitare lo spettro della patrimoniale, sarà sempre peggio».
Quali sono le conseguenze?
«Senza la fiducia l'investimento immobiliare è condannato. Il risparmiatore e a maggior ragione l'investitore istituzionale si rivolgono altrove: si guarda sempre più ai Paesi dell'Est, alla Russia o più lontano, come gli Usa o addirittura la Cina. Il che, nell'economia globalizzata, è certamente inevitabile e potrebbe anzi essere utile alla nostra economia: ma non se diventa una via di fuga. D'altronde, i numeri parlano chiaro: in Italia la ricchezza legata agli immobili ha perso mille miliardi di valore, 200 miliardi solo in Lombardia».
Si poteva evitare?
«Il problema viene da lontano, perché le dinamiche dell'immobiliare hanno tempi lunghi, ma una volta innestate difficilmente si modificano. Ad assestare il primo colpo, di fatto, è stato l'equo canone, nel 1978, che ha ridotto la redditività delle locazioni: risultato, poca manutenzione ed edifici trascurati, quindi svalorizzati. Le compravendite hanno invece mantenuto vitalità più a lungo, grazie al boom dei frazionamenti, che hanno immesso sul mercato nuove unità immobiliari. Il numero dei piccoli proprietari è quindi aumentato: a Milano, addirittura, il rapporto fra inquilini e proprietari si è capovolto, passando da 60 e 40% rispettivamente, a 32 e 68 per cento. Ma adesso non c'è più settore che si salvi».
Colpa della crisi?
«Non solo: certo, la stretta sui crediti sta facendo del mutuo un sogno impossibile, soprattutto per i giovani. Così, in Italia ci sono 250mila unità immobiliari ultimate che restano invendute, di cui 60mila solo in Lombardia. E se non si vende, neppure si costruisce: i cantieri edili fermi, se non addirittura falliti, sono purtroppo all'ordine del giorno, con conseguenze drammatiche per l'occupazione. Ma a far perdere fiducia nel mattone ha contribuito anche la tassazione sugli immobili, che con l'Imu ha ormai raggiunto livelli insostenibili. Una casa, magari frutto dei sacrifici di generazioni, troppo spesso si trasforma in un lusso che non ci si può più permettere: i proprietari pagano le tasse con i risparmi, ma ormai anche questa fonte si è seccata».
Quali sono gli interventi più urgenti?
«Prima di tutto, bisogna ridare all'edilizia la sua funzione sociale. L'Imu va perciò riportata alla sua versione originaria, istituita col federalismo fiscale municipale, quindi con aliquote ridotte per gli immobili dati in locazione, e va ripristinata la deduzione del 15% ai fini Irpef delle spese di manutenzione, gestione e amministrazione: così ripartirebbe il mercato degli affitti. Ma è necessario anche intervenire alla radice: la ventilata riforma catastale, basata sul valore di mercato e non sulla redditività, anziché cancellare le disparità, finirà per aggravarle.
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