Adesso finalmente c’è dibattito. Perché anche giuristi insospettabili di simpatie berlusconiane in queste ore stanno inorridendo davanti alla narrazione che della sentenza Ruby viene fatta dai giornali che su questo processo avevano macinato pagine su pagine. E che ora liquidano come un "cavillo" le motivazioni che hanno portato il tribunale di Milano ha assolvere “perché il fatto non sussiste” tutti gli imputati, a partire da Silvio Berlusconi. Sbotta su Facebook un avvocato milanese: "Quello che è un caposaldo della civiltà giuridica di un paese (la necessità di rispettare le garanzie difensive quando si interrogano persone che dovrebbero rivestire la qualifica di indagate) viene svilito a mero 'cavillo'".
Capofila degli irriducibili è Marco Travaglio, ed è inevitabile che sia così: è stato il suo giornale, il Fatto Quotidiano, a rivelare al mondo per primo l’inchiesta di Ilda Boccassini, e a cavalcarla per anni. Davanti alla dissoluzione dell’intero castello di accuse, sancito dalle sentenze dei quattro processi a Berlusconi celebrati su questo fronte, Travaglio la prende malissimo. Insultando, insieme all’intelligenza dei lettori, i giudici che hanno osato assolvere il Caimano. E insultando persino un morto come Niccolò Ghedini, cui dedica in prima pagina una vignetta crudele.
Per il Fatto, Berlusconi è stato assolto solo perché "i protagonisti di questo teatro hanno indossato la maschera sbagliata", testimoni anziché indagati. Peccato che questa maschera non l’avessero affatto indossata le ragazze ospiti delle feste ma gliela avesse appiccata addosso con la forza, e violando il codice penale, la Procura di Milano. Fu Ilda Boccassini a interrogare e a portare in aula ventidue giovani donne che nel suo intimo disprezzava (e infatti a Ruby riservò nella requisitoria l’accusa di "furbizia orientale") e sulle quali stava già indagando da tempo, spacciandole come testimoni. Non fu una distrazione. Se, come era suo dovere, le avesse iscritte nel registro degli indagati, le ragazze avrebbero potuto tacere. E il processo Ruby ter non sarebbe mai nato.
Di fronte alla semplicità di questi fatti, Travaglio perde persino la cognizione del tempo. Sostiene che l’assoluzione di Berlusconi è colpa di "avvocati azzeccagarbugli", ma anche di "giudici del quieto vivere e delle carte a posto: quelli che prima decidono di assolvere il colpevole, poi si arrampicano sugli specchi per cercare uno straccio di motivazione. Un tempo non l’avrebbero trovata, ora hanno l’imbarazzo della scelta". Se Berlusconi se l’è cavata pur essendo colpevole, dice Travaglio, è grazie alle leggi ad personam che lui stesso ha varato. Peccato che il diritto dell’indagato a non rispondere esista nel codice di procedura penale da quando Berlusconi era lontano anni luce dal governo, c’era persino nel codice di procedura penale fascista del 1930, come esiste nei paesi figli della cultura giuridica del diritto romano. Che evidentemente per Travaglio non fanno parte dei paesi civili, perché "in Italia mentire alla giustizia è un diritto, nei paesi civili è un crimine", scrive: mischiando come se fossero la stessa cosa il dovere del testimone a dire la verità e il diritto dell’imputato a tacere e a non accusarsi da solo. Forse non ha neanche visto i film americani dove l’imputato si appella al Quinto emendamento: "non rispondo perché la risposta potrebbe incriminarmi".
Ma tanto sono dettagli, l’importante è continuare a scrivere che le accuse mosse a Berlusconi "anche divise per un milione porterebbero chiunque all’ergastolo". Bum.
Conta scrivere che i giudici del tribunale di Milano avevano già deciso di "assolvere il colpevole", e poi si sono "arrampicati sugli specchi" per trovare "uno straccio di motivazione". E perché mai lo avrebbero fatto? Manca solo che dica che li ha pagati Berlusconi, e che adesso servirebbe un processo anche contro di loro. Destinato anche quello a finire in niente: ma chissenefrega.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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