L'ok di Obama a Renzi. Ma arriva il diktat su crisi ucraina e F35

Il presidente Usa promuove il Jobs act del premier. Però sulla Difesa si schiera con il Colle: impegni da rispettare

L'ok di Obama a Renzi. Ma arriva il diktat su crisi ucraina e F35

«Energy» e pure «vision»: dall'incontro con Barack Obama, il premier italiano esce con un buon bottino politico. «Sono favorevolmente impressionato dall'energia e dalla grande visione che Matteo ha portato al suo incarico», dice Obama davanti a una calca di giornalisti italiani e americani (più interessati, questi ultimi, all'incontro con il Papa che ad altro) dal podio della conferenza stampa di Villa Madama, al termine di un'ora di faccia a faccia. E spiega di aver visto in «Matteo» una «grande ambizione» che sarà «positiva per l'Italia: è meraviglioso vedere questa nuova generazione di leader che entrano in gioco». Ci sono da fare «scelte dure», sottolinea, ma «questa è la natura dei leader politici», e in ogni caso «l'Italia può farcela» e gli Usa «vi sosterranno nelle decisioni che dovete prendere» in materia di riforme. Parole che sono miele per le orecchie del premier, che entra immediatamente nella parte e assicura: «Il tuo 'Yes, we can' oggi vale anche per noi. Adesso possiamo anche noi sforzarci di cambiare l'Italia e non perché altri ce lo chiedono: non abbiamo più alibi».

Il presidente americano ha persino benedetto l'atto politico al momento più contrastato del governo Renzi, quel Jobs Act di cui proprio Obama ha il copyright (e il presidente del Consiglio ha ammesso di averlo voluto chiamare così proprio in suo onore) ma che sta suscitando la levata di scudi di tutta la sinistra laburista Pd e della Cgil. «Voglio ringraziare il presidente Renzi perché fa sì che le società italiane possano assumere più persone, perché siano più concorrenziali», ha detto Obama, e non c'è da dubitare che il premier sia pronto a giocarsi l'endorsement sul tavolo delle trattative sulla riforma del lavoro, con buona pace della Camusso e di Fassina. E infatti Renzi schiaccia subito la palla alzata dal presidente americano: «Dobbiamo avere il coraggio di semplificare i mercato del lavoro, dobbiamo rendere l'Italia un Paese bellissimo in cui fare nascere idee e business».

Tutto bene, quindi? Certo, Obama è stato generoso di complimenti, ha detto di aver «fiducia» nella «energia» riformatrice del nuovo premier italiano e di essere ansioso di riceverlo alla Casa Bianca, ha assicurato la propria sponda per spingere l'Unione europea verso una politica «più attenta alla crescita» e meno ossessionata dal rigore, e anche la partecipazione Usa ad Expo 2015 a Milano, ma tutto ciò non è gratuito. E il presidente Usa lo spiega con chiarezza, evocando anche il proprio colloquio a pranzo con Napolitano, «un amico» e «uno statista che l'Italia è fortunata ad avere»: dall'Europa, e dall'Italia, gli Stati Uniti si aspettano in cambio un maggiore e diverso impegno strategico, e anche militare. Tanto più nel fronteggiare crisi, dall'Ucraina al Medio Oriente, che avvengono alle porte d'Europa. Niente tagli indiscriminati alle spese per la Difesa, dunque, dice rispondendo a una domanda sugli F35, perché ci sono «impegni irriducibili che i Paesi devono mantenere se vogliono essere seri nel loro impegno dentro la Nato».

Renzi sul tema si mantiene più sul vago, afferma che l'Italia «verificherà il suo budget per evitare gli sprechi», pur nel «rispetto degli impegni con i nostri partner», mentre dal Quirinale si fa trapelare che il tema è stato al centro del colloquio e che Napolitano ha sottolineato il proprio impegno, nelle scorse settimane, per bloccare le velleità di chi voleva la rinuncia italiana agli F35. Assai apprezzato da Obama.

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