L'onorevole paranoia di negarsi le ferie

Da Letta alla Boldrini, è scattata la psicosi del "rimango a lavorare". È il senso di colpa della Casta

L'onorevole paranoia di negarsi le ferie

Come il caro ombrellone e la salsicciata di Ferragosto: torna anche il rito estivo di ultimissima generazione, l'eroismo del politico che va in ferie senza andare in ferie. Effettivamente è un po' macchinosa, come spiegazione. Ma lo è almeno quanto l'ipocrisia dell'intera faccenda. Sostanzialmente, il fenomeno nasce nell'estate 2012 con il governo Monti: mentre l'Italia cala la saracinesca per il classico periodo d'agosto, i tecnici del governo ci avvertono solennemente che loro no, non caleranno proprio niente, tutti alacri e solerti ai propri posti, perché il momento è grave e non è il caso di perdersi in amenità. È la calda estate sobria del montismo sobrio. Aperitivo a Fregene e di nuovo tutti in sede.
Un anno dopo, si replica. È possibile parlare di prassi consolidata. Nei mesi di avvicinamento i portavoce si premurano di informare la popolazione che l'onorevole non farà ferie faraoniche, in luoghi esotici, su barche lussuose. L'onorevole italiano del giorno d'oggi, al momento di andare in vacanza, si presenta più o meno come un frate trappista, pochi giorni fuoriporta, rigorosamente in famiglia, bici e merenda al sacco, abbasso le Maldive e sempre viva Riccione. Gli spudorati della prima repubblica si preparavano con le lampade solari, questi con il cilicio ai lombi, fustigandosi la schiena. Poi, quando agosto arriva, la teatralità è massima. Letta: qui non chiude nessuno, il governo è vigile e presente, ci siamo dati un sistema di turnazione per non sguarnire la bottega. Al suo fianco, Alfano annuisce tra il sofferto e l'indomito.
Appena più in là di Palazzo Chigi, al momento di chiudere la Camera, anche la presidente Boldrini annuncia con parole molto sentite (la presidente Boldrini dice parole molto sentite anche dalla parrucchiera): andiamo in ferie, ma è come se non ci andassimo. Siamo tutti a portata di mano, basta un fischio e gli indefessi deputati corrono febbrili ai propri posti. Fosse pure la notte di San Lorenzo, si rendesse pure necessario buttarsi a nuoto dal pedalò.
È evidente: la classe politica italiana accusa un insormontabile senso di colpa. In disperata crisi di credibilità, governo e parlamentari reagiscono da disperati: si castigano, si negano i diritti elementari. Persino quello del riposo. E anche se non se lo negano, fingono di negarselo. Vado al mare, ma vicino vicino. Vado in montagna, ma poco poco. Vado, ma vorrei tanto restare. Vado, ma di fatto non vado.
Non c'è molto da aggiungere: è tutta materia da psicanalista. Di uno bravo. Serve un tizio convincente che li rimetta in sesto, che li restituisca ad una serena tranquillità, che liberi loro dal senso di colpa e noi da questa stucchevole ipocrisia. Sia detto una volta per tutte, almeno per evitarci questa noia nelle estati a venire: non è grave, non è un reato, non è nemmeno disdicevole andare in ferie. Comunque un individuo se le organizzi, in cima al K2 o sulla sdraio di casa, le ferie servono a riposare le membra e le menti, a ricucire rapporti familiari, a ricaricare le batterie e a ripresentarsi migliori quando sarà il momento.

Gli italiani veri, gli italiani normali, non provano il minimo senso di colpa quando salutano i colleghi e si prendono la vacanza: sanno di avere lavorato undici mesi, di avere dato molto, di essere stanchi, ma sanno soprattutto d'essere a posto con la coscienza. Uscissero da questa paranoia, i nostri politici. Nessuno rinfaccia niente. Forse non s'è capito, ma i motivi di risentimento popolare sono ben altri. Non sono legati a quando riposano, ma a quando lavorano.

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