Quando, lo scorso primo agosto, la Cassazione condannò Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere al processo Mediaset, il verdetto della Giunta per le elezioni era già scritto. Tutto quello che è venuto dopo (il braccio di ferro tra giuristi e costituzionalisti sulla retroattività della legge Severino, il dibattito sulle pregiudiziali presentate dal pdl Andrea Augello, i dubbi amletici di alcuni democratici) è stata solo un'estenuante farsa ordita dalla sinistra per cacciare il Cavaliere da Palazzo Madama. Si chiude il cerchio: prima le trame della Suprema Corte in un processo controverso la cui sentenza va palesemente contro ad altre due sentenze, quindi il trappolone di Pd, Sel e M5S per far fuori il leader del centrodestra senza passare dalle urne. Un colpo di mano che ferisce i quasi dieci milioni di italiani, che a febbraio hanno voluto Berlusconi in parlamento, e che azzoppa la democrazia del nostro Paese usando cavilli di una legge la cui interpretazione non mette d'accordo nemmeno le toghe. "È peggio del previsto - ha commentato il capogruppo Renato Schifani - il copione era stato già scritto e se ne conosceva la trama, ma si è andati oltre ogni limite di tollerabilità".
Al termine di una lunga camera di consiglio è toccato al presidente Dario Stefano leggere la decisione della Giunta per le elezioni del Senato che, "a maggioranza", ha proposto all’assemblea del Senato di deliberare la mancata convalida dell’elezione di Berlusconi. Pd, Scelta Civica e M5S hanno votato a favore della decadenza, Pdl, Lega e Gal contro: è finita quindici a otto. Adesso la passa passa all'Aula per il definitivo e formale pronunciamento: la data più probabile è lunedì 14 ottobre, sempreché il Cavaliere non decida prima per le dimissioni da senatore. Eventualità che, non più tardi di mercoledì scorso, il leader azzurro ha assicurato di non aver alcuna intenzione di contemplare. "Le motivazioni della decisione - ha assicurato Stefano - saranno sottoposte alla giunta nella prossima seduta in modo da poterla presentare al Senato entro il previsto termine di venti giorni dall’adozione della decisione". A questo punto, però, le motivazioni della decadenza risultano scontate. Nella dibattito di oggi si può leggere tutto l'odio anti berlusconiano. Una caccia al nemico numero uno che va avanti da oltre vent'anni. Al verdetto politico, in palese violazione del principio della non retroattività della legge penale sancito dalla Costituzione, si è infatti aggiunto il comportamento del grillino Vito Crimi che ha infranto il patto di riserbo dell’udienza pubblica dell’organismo parlamentare. Un comportamento che, Schifani non ha alcun dubbio, "avrebbe dovuto imporre lo stop ai lavori". Adesso toccherà all’Assemblea del Senato evitare che si consumi un vulnus (senza precedenti) alla democrazia. "Ci auguriamo che gli alleati di governo, Partito democratico e Scelta Civica - è l'auspicio del capogruppo del Pdl - abbiano in quella sede un sussulto di responsabilità e respingano insieme al Pdl il pronunciamento odierno".
Che il Pd possa votare in Aula diversamente da come ha fatto in Giunta, appare piuttosto difficile. Nonostante la fiducia incassata mercoledì da Enrico Letta, oggi si è vista una nuova maggioranza che ha compattato sinistra giustizialista e stellati forcaioli. "La colpa ricadrà su quanti hanno commesso questa incredibile violazione - ha commentato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri - c’è ora un’ultima occasione, in Aula, per impedire che si compia uno scempio". I Cinque Stelle sono già partiti alla carica per ottenere il voto palese ed evitare i franchi tiratori piddini. "Noi abbiamo fatto il nostro dovere e continueremo a farlo", ha avvertito il grillino Mario Giarrusso.
In realtà il regolamento è chiaro, a meno che il presidente Piero Grasso non intenda alterarlo. Anche in occasione del voto sul senatore Sergio De Gregorio era stato proprio il piddì Luigi Zanda a ricordare che il voto è segreto. E, infatti, segreto fu.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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