L'ultima furbata della Casta: revocata la libertà di stampa

I politici vogliono zittirci e impedire le critiche: obiettivo quasi raggiunto

L'ultima furbata della Casta: revocata la libertà di stampa

Un passo avanti e due indie­tro, ma almeno qualcosa si muove per evitare la ga­lera ai giornalisti «delinquenti» che commettono reati di diffama­zione a mezzo stampa, cioè quasi tutti coloro i quali sui giornali non si occupano di bricolage, giochi enigmistici e diete per animali d’affezione.La commissione Giu­sti­zia del Senato ha approvato il di­segno di legge impropriamente detto salva-Sallusti, dal cognome del protagonista di una vicenda talmente e tristemente nota da non richiedere una ricostruzione. Ora il testo approda in aula, e qui sarà discusso, forse modificato, in­fine approvato, si spera.

Occhio, però. Toccherà poi alla Camera dire la propria, chissà in quanto tempo, dopodiché, in ca­so di modifiche, il testo emendato tornerà al Senato per il varo. Cam­pa cavallo. Frattanto il direttore del Giornale avrà, si teme, consu­mato i giorni- 25- che mancano al­la sua carcerazione. Alla scadenza, cascasse il mondo, egli verrà tradotto in ceppi, sicco­me bandito, a San Vittore o struttu­ra analoga. Nel momento in cui la legge entrasse in vigore, poniamo fra due mesi, Alessandro Sallusti tornerebbe un uomo libero. Infat­ti, la norma più importante è che la prigione viene esclusa dalle pe­ne previste per i «criminali» della nostra categoria, e sostituita da al­tre sanzioni, anzitutto pecunia­rie: multa da 5mila a 100mila eu­ro, a seconda della gravità della diffamazione e della tiratura del giornale; e risarcimento per la vit­tima da stabilirsi in sede civile.

C’è dell’altro. Se il reo è alla sua prima condanna, può cavarsela. Se invece nel biennio ne becca una seconda, rischia la sospensio­ne dall’Albo dei giornalisti fino a sei mesi, durante i quali non po­trà esercitare: stipendio azzera­to. Se si tratta di persona non ab­biente, ha due opzioni: farsi assi­stere dalla Caritas, che offre pasti gratuiti ai diseredati, o saltare pranzo e cena. Trascorso il perio­do di limbo e di dieta ferrea, lo sfi­gato tornerà in redazione con una linea invidiabile, che com­penserà la commiserazione dei colleghi per le sue condizioni psi­cologiche.

In cauda venenum . Supponia­mo che il poveraccio, scosso e de­bilitato, incorra in un terzo inci­dente nel biennio successivo e magari in un quarto: interdizione dalla professione per anni tre. Pe­rò, com’è buono il legislatore.Dal­le nuove regole emerge quale raz­za di serenità di giudizio alberghi nei senatori, i quali dimostrano inoltre di non avere a cuore il pila­stro della democrazia: la libertà di stampa. Per non parlare del sen­so di giustizia. Eliminano merito­riamente il carcere e introduco­no dissennatamente una serie di castighi che arrivano alla disoccu­pazio­ne forzata e alla pena di mor­te per inedia: già, chi non lavora, o ruba o non mangia.

Il lettore penserà: se uno è reci­divo significa che è un asino o un mascalzone, pertanto è bene che sia punito con lunghe squalifiche a scopo pedagogico. Ma bisogna tenere conto che un quotidiano, anche il più tranquillo e soporife­ro, riceve in un anno la media di 50 querele (per stare bassi), il che fa capire, mi auguro anche ai par­lamentari, che per un redattore in­filarne tre o quattro in un biennio è fisiologico.

Se la legge vedrà la luce così co­m’è, i direttori, che rispondono di ogni articolo pubblicato, hanno una sola via d’uscita: o dare alle stampe soltanto comunicati uffi­ciali, dispacci di agenzia, crona­che edulcorate e commenti enco­miastici sulle attività politiche, giudiziarie, economiche eccete­ra, oppure cambiare mestiere e di­rigere unicamente se stessi, cosa che io sono stato costretto a fare due anni fa. Di fatto, la normativa in corso di elaborazione è intimi­datoria: cari addetti all’informa­zione, piantatela di rompere le scatole, scrivete ciò che vi pare, purché in chiave elogiativa, altri­menti sarete radiati dall’Ordine e costretti a zappare la terra. Sem­pre meglio della reclusione, per carità, ma lorsignori non credano con questo capolavoro di aver re­so un buon servizio ai cittadini che rappresentano. Semmai han­no rivelato la propria indole ven­dicativa, l’astio che li anima quan­do affrontano i problemi della li­bertà d’espressione.

Tra l’altro, il diritto alla rettifica è stato trascurato: manca nel te­sto una disciplina precisa, un pro­tocollo rigoroso che tuteli il diffa­mato o presunto tale. E ricordo che la smentita costituisce l’uni­co vero indennizzo per la perso­na offesa e l’unico modo per rista­bilire la verità. A questo punto, se la corporazione dei gazzettieri fosse unita nella tutela dei propri interessi,avrebbe un’arma poten­te per combat­tere gli eccessi puni­tivi favoriti dal ddl in questione: ri­nunciare all’Ordine, scioglierlo, dimissioni in massa in maniera che automaticamente le pene ac­cessorie ( sospensione e radiazio­ne) non abbiano ragion d’essere. Si consideri che l’Albo concepi­to quale il nostro non esiste in al­cun altro Paese civile. Non serve, e con questa legge più che mai, se non a mortificare una professio­ne che poi è un impiego, visto che penne e pennini sono tutti dipen­denti. Quanto alle sanzioni pecu­niarie mostruose previste, mai nessun giornalista avrà i mezzi per liquidarle. E se non le paga che succede? Gli possono seque­strare un quinto dello stipendio, ammesso che lo riscuota (ma co­me fa a guadagnarselo se è sospe­so?).

Ancora. Quanti anni occorro­no per saldare 100mila euro con la cessione del quinto? Insomma, siamo davanti a un pasticcio. Un ultimo esempio di scempiaggine. Se io mi dimetto dall’Ordine,pos­so comunque scrivere articoli quale autore ed essere retribuito; e se diffamo, chi mi infligge le pe­ne accessorie se non appartengo all’Albo? Nessuno ha riflettuto su questi aspetti grotteschi? Mi au­guro che una mano santa correg­ga certi svarioni.

Ma non sarebbe stato più sem­plice, utile e corretto prelevare di peso dai codici inglesi la normati­va sulla stampa ( lo avevo suggeri­to la scorsa settimana su queste colonne) e trasferirla di peso nel­la nostra legislazione? Un bravo parlamentare mi ha detto che non

si può, ma non ha spiegato perché. Adesso ho scoperto il mo­tivo: senatori e onorevoli hanno un solo intento, azzittire i giornali­sti, impedire loro di criticarli e di raccontarne le malefatte. Obietti­vo quasi raggiunto.

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