Matteo Marzotto accoglie gli ospiti nella sua residenza milanese tra lacche cinesi, libri e opere d'arte, su una distesa di tappeti che si toccano l'uno con l'altro, lasciando all'immaginazione l'esistenza di un pavimento. E' un incontro “istituzionale”, ma assolutamente informale, in cui il neo presidente della Fiera di Vicenza, illustra le missioni del suo mandato a una plaeta di giornalisti e addetti ai lavori sistemati su colorati divani. Ma in realtà è un'occasione per parlare di un sacco di cose: dalle imprese soffocate dalla burocrazia e da una giustizia sbilenca alla necessità di valorizzare il made in Italy e formare una nuova classe dirigente. “Vicenza è una straordinaria piattaforma di benfatto italiano – racconta al Giornale.it -. Noi cerchiamo con vari prodotti, quattordici per quest'anno, di portare a livello mondiale il miglior saperfare io taliano. Siamo un made in Italy 2,1, stiamo cercando di raccontare l'Italia delle migliori capacità in un modo molto moderno. L'oro, ma anche la caccia e la pesca, la manualità femminile e il turismo accessibile sono alcune delle nostre fiere d'eccellenza”.
Presidente Marzotto, lei è ambasciatore del made in Italy ma anche dello stile italiano. Che ruolo possono e devono avere nella ripresa?
“Noi non dobbiamo sperare in una ripartenza, ma crederci e cercarla. Progettarla una ripartenza. In questi anni l'Italia rappresenta un target di stile di vita: nel food, nel fashion e nei prodotti per cui siamo famosi. La Cina dei ricchi sta aspirando a una modalità di vita Occidentale e i prodotti principali sono collegati proprio all'Italia. Noi non dobbiamo dimenticarci che queste potenzialità le abbiamo ancora tutte. L'Italia continua a essere un player fondamentale del Luxury compartment. Dobbiamo comunicare ai nostri governanti le potenzialità dell'artigianato e del nuovo manifatturiero, per esempio. Dobbiamo riavviare questa capacità che in Italia c'è e sopravvive, nonostante la burocrazia nonostante l'appesantimento fiscale e tutte le difficoltà del mercato interno”.
Restiamo su questo tema, l'Italia è un Paese sempre meno attraente per gli investitori esteri. Come mai?
“La burocrazia e la scarsa trasparenza nell'applicazione delle leggi sono il vero snodo. Il tema è far funzionare un Paese che accumula e sedimenta leggi su leggi. E poi l'applicazione e l'interpretazione di queste leggi diventa difficile, specialmente per investitori che hanno sistemi snelli dove c'è una certezza del diritto e dei tempi dell'applicazioni delle pene. Detto ciò ricordiamoci che l'Italia è un padre fondatore dell'unità europea ed è uno dei paesi che nel secondo dopoguerra ha sviluppato più benessere diffuso. Io credo che con un po' di sforzo il sistema possa distendersi e tornare a creare valore”.
Per ripartire, lo ha detto ripetutamente anche il neo premier Matteo Renzi, bisogna puntare sulla formazione. Lei è impegnato anche su questo fronte con il Cuoa.
“Certo, è fondamentale. Il Cuoa è il centro universitario di organizzazione industriale ed è la più vecchia businnes school italiana essendo nata nel 1957. E' un'eccellenza del nostro territorio, la sede è una villa palladiana a Vicenza, è un'organizzazione piccola ma molto flessibile con una straordinaria immagine e i rating al più alto livello. Offriamo master full time, part tima ma anche corsi di perfezionamento parallela all'attività lavorativa. Siamo un po' taylorizzati, offriamo ad aziende o a privati prodotti ritagliati su misura per loro in modo efficace. Non siamo soltanto leader di studi economici classici, ma siamo anche leader di prodotti che negli anni hanno connotato l'italia. Siamo il centro italiano di riferimento per la lean organization, il sistema Toyota per capirci... E poi, anche per la nostra collocazione geografica, siamo al centro dell'italian lifestyle”
Lo stile di vita comprende anche un'attenzione per il benessere di cui lei è da tempo alfiere.
"Io sono presidente della Fondazione Ricerca Fibrosi cistica. Il mio impegno nasce da una storia di vita forse banale, ma molto intensa. Ho avuto una sorella malata di questa malattia, Annalisa è morta nel 1989. Alcuni anni dopo, con due amici, abbiamo capito che serviva fare un'aggregazione molto forte sul tema. In questi quindici anni abbiamo imparato a comunicare e raccogliere fondi e siamo diventati un'organizzazione che seleziona e finanzia progetti di ricerca, attraverso un comitato scientifico. Oggi siamo il soggetto privato che maggiormente sostiene la battaglia contro questa malattia genetica che è la più diffusa in Italia. Finora abbiamo raccolto oltre 22 milioni di euro di cui 17 già investititi, i progetti già completati o avviati sono 240, abbiamo un network di ricercatori che supera le 450 unità. Una parte dei nostri investimenti sono anche la formazione dei giovani ricercatori italiani, proprio per arginare la fuga dei cervelli.
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