Ma insomma, con quella maggioranza, con i numeri che avete, che bisogno c'è? Felpato come al solito, sorridente quanto basta, il tono leggero, quasi comprensivo. Stavolta però questa storia dei decreti comincia a seccarlo: sono troppi, dice Sergio Mattarella, sono un fritto misto di «provvedimenti eterogenei», sono talvolta senza copertura finanziaria e sono spesso portati in Aula a ridosso della scadenza, con il fiato della fiducia sul collo, senza che il Parlamento abbia il tempo e modo di discuterli. E non potendo o volendo pettinare il governo, perché non intende «entrare nel merito politico delle misure», il capo dello Stato ha deciso di rifare la riga ai presidenti delle Camere, convocati l'altra sera perché si muovano. Un vertice istituzionale discreto, definito ufficialmente come incontro di routine, dove però Mattarella ha espresso a Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana tutta la sua preoccupazione per l'andazzo. Dal 13 ottobre, data di inizio della legislatura, Palazzo Chigi ha infatti prodotto e fatto approvare 27 decreti e solo sette leggi ordinarie. Si tratta, spiegano dal Colle, quasi sempre di misure urgenti e necessarie, peccato che spesso al testo originario vengano incollati elementi estranei di ambiti completamente diversi. Un autobus con la corsia preferenziale sul quale tutti salgono all'ultimo momento. Un assalto alla diligenza. L'usanza è vecchia come la storia della Repubblica, Mattarella non è infatti il primo presidente a denunciare la disfunzione. Stavolta però il capo dello Stato deve aver colto un ulteriore eccesso. Già la scorsa settimana, su suggerimento del Quirinale, il decreto Bollette era tornato in commissione prima del voto finale per essere ripulito da quattro emendamenti «non omogenei». Tre mesi fa invece il capo dello Stato aveva promulgato il Milleproroghe soltanto perché non poteva farne a meno. E lo aveva accompagnato con una lettera al governo in cui sottolineava «i molteplici profili critici», tra i quali il più evidente era l'estensione temporale delle concessioni balneari, che presentava «incompatibilità con il diritto europeo e decisioni giurisdizionali definitive». Perciò «le nuove disposizioni parlamentari non corrispondono ai principi e alle norme costituzionali in materia». In quel caso la reprimenda presidenziale era diretta all'esecutivo. Stavolta invece il problema riguarda la gestione dei lavori delle Camere e riguarda gli allegati e la mancata scrematura di Montecitorio e Palazzo Madama. Eventuali urti con la Carta dovrebbero essere rimossi all'origine, prima che i testi arrivino in Parlamento o poi al Colle per la firma. E non è, dicono, un questione politica, ma di funzionamento della procedura.
Mattarella non intende interferire sull'ammissibilita degli emendamenti, ma resta il fatto che deputati e senatori non hanno tempo di esaminare le misure proposte e il capo dello Stato si trova talvolta a ratificare quasi al buio. Da qui l'invito a La Russa e Fontana a provvedere, magari dando uno scossa agli uffici legislativi, perché non può essere sempre il Quirinale a risolvere i guai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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