Roma - «La collaborazione per fare le riforme e scrivere le regole del gioco tiene, il patto è solido», dicono ad una voce Graziano Delrio e il ministro Maria Elena Boschi all'indomani della cena di Palazzo Chigi tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.
Il premier è soddisfatto e a sera si mette e twittare con entusiasmo: «Giornata di lavoro su carte e documenti. Era dai tempi del liceo che non studiavo così tanto. Ma bene, molto bene: è proprio la volta buona». Lunedì ha dato via libera al faccia a faccia, nonostante i dubbi di alcuni dei suoi, ha incassato la riconferma del «patto» e ieri faceva notare allegramente ai suoi prudenti consiglieri: «Vi ricordate gli anatemi e i vade retro nel Pd, dopo l'incontro del Nazareno? E oggi avete visto qualcuno che si scandalizzi perché ho parlato di riforme con Berlusconi? Nessuno».
E ieri, infatti, il Pd era compatto e allineato dietro al leader, persino al Senato dove si è svolta l'assemblea dei parlamentari per il via libera al testo del governo sull'abolizione del bicameralismo, prima dell'esame in commissione iniziato nel pomeriggio. Alla fine, il testo della Boschi è stato approvato a larghissima maggioranza, salvo il dissenso di Vannino Chiti, che conferma il suo ddl alternativo per mantenere in vita il Senato elettivo. Ma i 22 senatori che lo sostenevano si sono dimezzati, e ieri solo una decina di loro si è schierata con lui. Mentre lo stesso Chiti si è detto disponibile a trasformare il suo ddl in emendamenti, che verranno serenamente respinti.
Ma è proprio la ragione di tanto improvviso buonismo dei senatori Pd della minoranza a creare qualche preoccupazione a Palazzo Chigi. Perché è vero che Renzi e Berlusconi hanno concordato («Tu tieni a bada i tuoi matti e io i miei», la chiosa del Cavaliere) su una tabella di marcia che prevede la prima lettura della riforma del Senato ora, prima del voto europeo, e l'Italicum subito dopo. E il leader di Forza Italia ha bocciato la linea di chi, dentro Forza Italia, vuol mantenere il Senato elettivo, puntando sulle modifiche assai più indolori accettate da Renzi (soppressione dei 21 senatori di nomina presidenziale, proporzionalità tra le Regioni sul numero di delegati). Ma è proprio il secondo passaggio dell'accordo, la legge elettorale, quello più incerto.
«L'Italicum rischia di morire in culla», è il refrain (soddisfatto) di molti oppositori di Renzi dentro il Pd. Convinti, come spiega uno di loro, che «se alle Europee Forza Italia perde voti e arriva terza, non avrà più alcun interesse al ballottaggio, tutti gli accordi salteranno per aria e Renzi si troverà senza più la sponda di Berlusconi per la sua legge maggioritaria e dovrà trattare con noi». Un rischio che preoccupa molti renziani, anche se Delrio rassicura: «La riforma elettorale non è ferma, abbiamo messo tanta carne al fuoco. Vedo la possibilità e l'opportunità per fare una buona legge per il paese, tutto il resto sono speculazioni». Tanto più, nota il costituzionalista Pd Ceccanti, che «con l'Italicum sono le coalizioni e non i partiti ad andare al ballottaggio, quindi Berlusconi ha molte più chance di Grillo». «La legge elettorale si farà, ne va della nostra credibilità», taglia corto il sottosegretario Angelo Rughetti.
Che oggi, insieme a Matteo Richetti e molti altri parlamentari di ogni provenienza, dai veltroniani ai bersaniani fino alla civatiana Puppato e al cattolico Bazoli, lancerà un manifesto per «sostenere e incalzare il governo» e - soprattutto - per superare le attuali correnti organizzate che colonizzano il Pd: ex Ds da una parte, franceschiniani dall'altra. Nasce il correntone neo-renziano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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