Matteo garantisce per il Cav ma teme di finire logorato

Renzi fiducioso sulle riforme, però inquieto sul voto che si allontana. Sc e Ncd lo pressano perché sostenga Letta con più decisione

Matteo garantisce per il Cav ma teme di finire logorato

Roma - Nervoso forse è una parola grossa. Ma l'umore di Matteo Renzi negli ultimi giorni ha virato verso il basso, malgrado il primo passo mosso dall'Italicum nel suo iter parlamentare, con la bocciatura delle pregiudiziali di incostituzionalità presentate dalle opposizioni. Un tesoretto di ottimismo sperperato con piccole fibrillazioni che non piacciono al nuovo segretario del Pd, di professione predestinato.
Intanto c'è un Silvio Berlusconi in grande forma. Il Cav al Pd lo temono a prescindere. Figuriamoci ora che sta vivendo una seconda (o terza? O quarta?) giovinezza: la riabilitazione come soggetto politico, i sondaggi in crescita, il ruolo da protagonista nella nascita della nuova legge elettorale, la sua leadership che sembra di nuovo sedurre Alfano e Casini. Renzi mastica amaro e in più deve difendere anche il Cav dai sospetti dei suoi, che mettono il sale sulla coda del segretario Pd: «E se sull'Italicum poi all'ultimo ci molla?». «No, Berlusconi non farà giochini. L'Italicum gli va benissimo», garantisce il sindaco. Forse un po' troppo, sussurra qualcun altro. Insomma, c'è qualcosa che sfugge a Renzi.

Come non bastasse Berlusconi si è messo anche a dettare i tempi: c'è bisogno di riforme, quindi non si voterà prima della primavera del 2015. E Renzi ha tutto da perdere a sfogliare il calendario: in quanto simbolo del nuovo, rischia di perdere smalto con il passare dei mesi, di farsi logorare dalla sopravvivenza di un governo opaco di cui il Pd è comunque azionista di maggioranza, da una possibile opposizione interna al Nazareno che al momento è allo zero assoluto ma prima o poi tornerà a riorganizzarsi. Renzi è spavaldo ma non scemo: sa che il Pd è un partito correntista e tirannicida, mentre dall'altra parte del campo c'è uno di quegli atleti di classe infinita capaci di arrivare sempre in piena forma all'appuntamento che conta.
Poi c'è la quota 37. Il sindaco d'Italia sa che per toccare la soglia dell'all-in c'è bisogno di alleanze forti. Anche perché quando il Pd ha voluto fare da solo è andato incontro a sanguinose Caporetto elettorali. Ma se si guarda intorno Renzi non vede granché: i centrini sono attratti da Berlusconi come da una calamita, i montiani sono pochi e confusi, Sel è allo sbando e inoltre sbuffa per le soglie di sbarramento dell'Italisum che rischiano di mettere Vendola in fuorigioco. Insomma, i suoi spazi di manovra sono molto inferiori a quelli del Cav.

Infine c'è il rapporto con il separato in casa Letta, padre di un governo che Renzi mal sopporta (e fatica a nasconderlo). Si attende ancora che Renzi si intesti almeno parte del certificato di proprietà dell'esecutivo. Ieri gli alleati glielo hanno chiesto in mille modi. «Il Pd sostenga il governo Letta con passione anche perché non può aspettarsi che sia Ncd ad appoggiarlo in modo più intenso rispetto a quello che fa il centrosinistra», lo sprone di Angelino Alfano. Più o meno le stesse parole usate dal compagno di partito Renato Schifani in un'intervista aut-aut al QN.

E anche Linda Lanzillotta di Scelta Civica sbuffa: «Visto che questo governo non lo sentiamo nostro, potremo valutare di assumere una posizione netta per spronare definitivamente Letta a cambiare passo e Renzi ad assumersi le responsabilità che gli competono come segretario del partito di maggioranza relativa». La risposta di Renzi è stata rinviare a data da destinarsi la direzione del partito sul programma di governo. Per un disgelo tra l'anima innovatrice e quella governativa del Pd prego ripassare.

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