La metamorfosi di Renzi: da rottamatore a riciclatore

Era partito per rinnovare il Pd ma si ritrova imbarcato coi soliti notabili: D'Alema lo candida, Veltroni lo rilancia e persino il dipietrista Orlando ora si schiera con lui

La metamorfosi di Renzi: da rottamatore a riciclatore

«Renzi? Da rottamatore è finito rottamato", diceva ancora un paio di mesi fa l'eterno sindaco di Palermo Leoluca Orlando. E invece sta diventando - come proprio Orlando può testimoniare - un efficace impianto di riciclaggio per la Terza repubblica. Nelle terre del Gattopardo il fenomeno è vistoso: con il rottamatore si sono schierati in rapida sequenza il sindaco di Catania Enzo Bianco, in carica dal lontano luglio del 1988 con varie interruzioni, tra cui due anni al Viminale nel governo D'Alema, e, per l'appunto, Orlando, eletto sindaco del capoluogo siciliano per la prima volta addirittura nel 1985, quando a Palazzo Chigi c'era Craxi e al Quirinale l'indimenticabile Sandro Pertini.

«Noi staremo al suo fianco - ha dichiarato spavaldo il sindaco dei Trent'anni in un'intervista a Repubblica - perché Matteo è l'unico che può scardinare il Pd delle tessere e costruire un nuovo Partito democratico, anzi il vero Partito democratico che da sempre cerco di fondare». C'è un tocco struggente in quel «da sempre», una spinta epica che commuove: ed è un peccato che Orlando non ci abbia ancora raccontato come lo voleva fondare, il «vero Partito democratico», quando negli anni Ottanta si riuniva con Salvo Lima e gli altri dirigenti della Dc siciliana.

Giusto un anno fa, il Sindaco dei Trent'anni (allora di fede dipietrista) sosteneva Rita Borsellino alla primarie del centrosinistra, che furono però vinte dal giovane Fabrizio Ferrandelli, dell'Idv. Orlando non si diede pace, denunciò brogli e imbrogli, ruppe con l'Idv e si candidò da solo contro il centrosinistra. Oggi ritorna a casa, o almeno ci prova: e ad aprirgli la porta, per una curiosa ironia della cronaca, troverà proprio quel Ferrandelli che voleva rottamarlo quand'erano tutti e due nell'Idv, e che oggi è il più in vista fra i deputati regionali di rito renziano.

Ma la Sicilia non è certo un'eccezione, anzi: basta pensare ai percorsi paralleli di Veltroni e D'Alema. Il primo ha persino rivendicato, e non senza qualche ragione, il primato di renziano ante litteram: e in effetti nelle cose che dice il sindaco di Firenze spesso si ritrova il sapore del discorso del Lingotto con cui «zio Walter» inaugurò la sua breve segreteria. «Zio Massimo», invece, ha fieramente combattuto Renzi per mesi, tanto che il suo cartonato finì simbolicamente sotto il camper delle primarie e il suo nome, nei comizi di Renzi, veniva evocato come quello di Belzebù. Poi D'Alema ha cambiato idea: o, per meglio dire, ha seguito ancora una volta il suo freddo realismo e oggi propone pubblicamente Renzi come candidato a palazzo Chigi. In cambio vorrebbe la segreteria del partito per Cuperlo: ma questi, in fondo, sono dettagli.

Non è un dettaglio, invece, che alcune tra le figure più rappresentative espresse dalla sinistra in questo ventennio corrano oggi verso il carro renziano. E non perché sia illegittimo o incomprensibile: anzi, ad alcuni neo-renziani - certo non a tutti - si può concedere il beneficio della buona fede e della sincera convinzione. Il punto però non riguarda D'Alema o Veltroni o Orlando, ma Renzi e il suo progetto politico.

Il valore del renzismo sta proprio in quella parola magica - rottamazione - che non per caso ha suscitato, simultaneamente, il consenso entusiasta dell'opinione pubblica e il timor panico del ceto politico. «Rottamare» significa prima di tutto chiudere con una cultura politica minoritaria e a tratti settaria, impregnata di antiberlusconismo e succube della Cgil: ma significa anche cambiare facce e uomini, prendere atto della conclusione di un ciclo non soltanto politico, ma anche personale, e promuovere una nuova classe dirigente. Come del resto avvenne vent'anni fa, quando D'Alema e Veltroni rottamarono il Pci, Orlando la Dc e Bianco il Pri.

Le alleanze sono preziose, e la politica non si fa soltanto con i convegni e le belle parole: è dunque normale che Renzi tessa la sua rete, allarghi il suo consenso nell'apparato, si proponga come punto di riferimento per gli amministratori locali. Ma c'è un punto oltre il quale il rinnovamento diventa trasformismo, e il peso della continuità affonda anche l'innovazione più timida.

La forza di Renzi - la sua forza politica ed elettorale - sta nella rottura, non nel riciclaggio. A meno che non voglia finire come un Monti qualunque, e salvare dalla meritata pensione i Fini e i Casini della disastrata sinistra italiana.

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