Il ministro della Difesa: «Senza la riforma rischiamo il default»

Il ministro della Difesa: «Senza la riforma rischiamo il default»

RomaMario Mauro non usa mezzi termini. Senza riforma dello strumento militare le Forze armate italiane «rischiano il default funzionale nel giro di pochi anni». Non solo: verrebbe anche meno «la capacità di partecipare nei fatti alla politica di Difesa europea».
Forse una soluzione del genere sarebbe ben vista da alcune forze presenti in Parlamento, come Sel e M5S. Ma non dalla maggioranza. E proprio alla maggioranza che rivolge l'appello il ministro della Difesa durante un'audizione presso la commissione Difesa della Camera. Con l'obbiettivo di favorire il clima politico intorno ai decreti delegati di attuazione della riforma che da qui a breve la Difesa presenterà al Consiglio dei ministri.
Il ragionamento del ministro prende spunto dalla legge delega di riforma dello strumento militare, approvata nella precedente legislatura. Quella legge punta a riordinare la spesa militare, oggi troppo sbilanciata a favore del personale. Da sola, questa voce copre il 70% del bilancio della Difesa. Mentre la riforma punta a ridurla al 50% del totale, a vantaggio dell'addestramento e degli investimenti; che registrano valori rispettivamente del 13 e del 18%.
A tutt'oggi il bilancio della Difesa propriamente detta assorbe lo 0,9% del Pil; quasi la metà della spesa media europa. In più, secondo i dati forniti dal Sipri di Stoccolma - citati dal ministro - la spesa militare italiana è diminuita del 5,2% fra il 2011 e il 2012. Taglio che sale al 19% fra il 2003 e il 2012. «Questa compressione delle risorse - spiega Mauro - ha prodotto un forte squilibrio anche il termini di articolazione interna della spesa». Squilibrio che si riassume con il 70% del totale dedicato al personale.
L'audizione è servita a Mauro anche per «alzare» il tono del confronto politico sullo strumento militare; oggi limitato allo slogan «F35 sì, F35 no». «Ritengo - sottolinea - che questo paese abbia bisogno di un grande dibattito sulla cultura della Difesa. È giunto il momento di valutazioni dove non si parli solo di ogni singolo programma, ma di tutti i programmi della Difesa». Come a dire: non solo l'Aeronautica deve ridurre i programmi (come l'F35), ma anche le altre Forze armate devono rivedere i loro.
Ed a proposito dei sistemi d'arma, Mauro offre un'immagine efficace. «Venticinque anni fa - osserva il ministro - dovevamo fronteggiare militarmente Paesi che ora sono nell'Unione europea. Ma venticinque anni sono un arco di tempo più breve di quello richiesto per lo sviluppo di sistemi d'arma». L'esempio limite sono i Tornado: pensati nel 1968, progettati nel 1973, ancora in funzione.
Ma la dimensione della Difesa italiana ha valore solo se inserita in un contesto europeo. «Se l'Italia aderisce a un disegno europeo che prevede esplicitamente il rafforzamento della politica estera e europea comune - osserva il ministro - ne discende che le scelte di difesa nazionale devono essere coerenti con tale indirizzo».
Infine, si toglie anche qualche sasso dalle scarpe. Il primo è sul ruolo del governo nelle scelte della Difesa; dopo le polemiche sull'ultimo Consiglio supremo di Difesa.

«L'iniziativa delle scelte di politica di difesa è attribuita in linea generale al governo, è quindi il Consiglio dei ministri il consesso naturale dove le scelte posso acquisire una prima definizione». In pratica, rilancia la tesi del presidente Napolitano che ha innescato critiche e polemiche in Parlamento.

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