Nel Pd scoppia la rivolta contro i raccomandati imposti dal segretario

Dal Friuli alla Sicilia i responsabili regionali combattono in zona Cesarini per evitare i troppi candidati "romani"

Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani
Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani

Roma - Quale sarà l'effetto Monti sul Pd? La questione è controversa, e prescinde dall'eventuale migrazione di alcuni centristi verso le liste del Prof, resa ora più difficoltosa dalle regole che escludono candidati ex parlamentari alla Camera. Solo le porte di Palazzo Madama saranno aperte, ma lì c'è già la ressa dei saldi di stagione per ex pdl, ex pd conclamati guidati da D'Ubaldo, ministri in carica (Moavero, Balduzzi e Profumo) e amici del premier (a cominciare da Dambruoso), più i ripescati dalle liste Udc (dovrebbe presentarsi al Senato anche Casini) e Fli (Bongiorno e Della Vedova).
A preoccupare il Nazareno nel convulso rush finale della definizione delle liste - che vedono rivolte di esclusi dalla Sicilia al Friuli, dall'Umbria alla Liguria - sono due aspetti politici cui il segretario Bersani sta cercando di porre rimedio ma, siccome la coperta è corta, scoprendo altri fronti. La prima questione è che la presenza dei montiani ha comunque «sbilanciato a sinistra il partito», come ha insistito ieri Arturo Parisi. Il Pd «men che mai sarà capace di raccogliere la maggioranza degli italiani», sostiene l'ex sanculotto di Prodi, assai nostalgico dell'Ulivo prima maniera (nel quale i centristi comandavano). La cooptazione di Renzi non potrà bastare a dare peso alla «destra», così come l'idea di poter attirare i centristi grazie alla piccola lista messa su da Tabacci e Donadi (con alle spalle un Rutelli devastato dallo scandalo Lusi) ricorda le rincorse di Don Chisciotte.
La seconda questione è se la presenza del Centro nuocerà più al Pdl o al Pd. Probabilmente a entrambi. Però, in caso di buona o discreta affermazione, diventa sicuro che Bersani possa scordarsi il premio di maggioranza al Senato. Cosa che renderà la sua leadership «zoppa». Per scongiurarlo, il segretario ha riempito le liste regionali di «paracadutati» dal «listino dei garantiti». «Sfoltire il listino», chiede sul suo blog Pippo Civati, forte della gran messe di consensi lombardi nelle primarie. A beneficiare della poltrona sicura sono personaggi tratti per lo più dalla «società civile», tanto per essere concorrenziali con la «Scelta civica» confezionata da Monti e Montezemolo. Assieme ad essi, con il bilancino, figurano invece «vecchi marpioni» della politica.
A essere doppiamente colpiti sono i semplici militanti, la linfa vitale sul territorio, che difatti sta protestano a più non posso. Se in Sicilia la tensione è alle stelle, in Umbria va peggio: i militanti rifiutano che ci siano quattro «romani» nelle prime file. Più intricata la situazione in Friuli, dove la Serracchiani è stata riconvocata a Roma. Sotto attacco degli «ex popolari», dovrà ora perorare la causa del vice capogruppo uscente Maran e «la necessità di tutelare la rappresentanza degli sloveni». Anche la Liguria protesta per gli «esterni», mentre la Toscana, recalcitrante, ha dovuto inghiottire il capolista socialista Nencini (in Lombardia serviva un calibro più forte per aggiudicarsi il premio regionale).

Nel caos generale si susseguono appelli e raccolte di firme per recuperare altri esclusi, tipo Paola Concia, Chiti, Stradiotto e Della Monica. E Bersani, il primo che ha sdoganato l'usato sicuro per contrapporsi al nuovo che avanza, è in crisi di coscienza.

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