La Cina «è sulla buona strada» per centrare il target di crescita del Pil nel 2024 di «circa il 5%». Il compiacimento del governatore della Banca centrale cinese (Pboc), Pan Gongsheng, rischia di durare quanto un fuoco d'artificio. Al netto delle misure introdotte in settembre per sostenere l'economia, il Dragone è ancora impantanato nella deflazione e sa bene che l'espansione dello scorso anno è stata garantita dall'andamento dell'export, ancora in doppia cifra in dicembre (+10,7%). Per la prima volta, il cumulato delle merci Made in China uscite dai confini nazionali ha superato i 25mila miliardi di yuan toccando 25.450 miliardi (3.470 miliardi di dollari) con un incremento del 7,1% rispetto al 2023.
L'asse del commercio rimane pesantemente sbilanciato su un solo lato: l'import complessivo è stato pari a quasi 18.400 miliardi di yuan (2,580 miliardi di dollari). Nei confronti della Cina, la bilancia dei pagamenti dell'Unione europea ha infatti accumulato nel terzo trimestre quasi 50 miliardi di deficit.
Ma su quello che molti definiscono - tout court - mercantilismo predatorio, Donald Trump ha già puntato il mirino. L'introduzione di dazi contro l'ex Impero Celeste sarà uno dei primi provvedimenti di natura economica che il tycoon prenderà non appena rientrato alla Casa Bianca. Barriere protezionistiche destinate a invelenire ancor di più i rapporti Usa-Cina, in un continuo braccio di ferro che, proprio ieri, ha avuto un nuovo round con uno degli ultimi atti dell'era Biden: una stretta ulteriore sull'export di chip, dopo quella già decisa nel 2023. Le nuove regole stabiliscono un tetto ai semiconduttori per l'IA che possono essere esportati in circa 120 Paesi (esclusi i 18 più stretti alleati americani, tra cui l'Italia) e l'obbligo per loro di richiedere un'autorizzazione sempre rispettando alcuni standard di sicurezza. Giro di vite anche sui centri dati di intelligenza artificiale, chiamati a rispettare parametri più severi per poter importare chip. Per Pechino si tratta «di un altro esempio della generalizzazione del concetto di sicurezza nazionale e dell'abuso del controllo delle esportazioni, nonché una flagrante violazione delle norme internazionali multilaterali in materia economica e commerciale». Misure stigmatizzate anche da un colosso del settore come Nvidia, secondo cui «queste regole non farebbero nulla per migliorare la sicurezza degli Stati Uniti».
Certo la Cina non starà a guardare di fronte all'aggressività della nuova amministrazione Usa, imponendo a sua volta misure di ritorsione. In ogni modo, Pechino dovrà comunque pagare un prezzo. Che Goldman Sachs calcola in una crescita economica più lenta, attorno al 4,5%, poiché le aliquote tariffarie aggiuntive di The Donald peseranno sul Pil per lo 0,7 percento.
Un rallentamento che tiene conto degli stimoli che il governo di Pechino metterà in campo soprattutto per stabilizzare i consumi interni e il mercato immobiliare. Cambiando però questa volta spartito: più disavanzo e tassi più bassi, anche con lo scopo di indebolire lo yuan. Una manovra che rischia però di aprire con gli Stati Uniti un altro fronte, quello valutario.
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