Nel processo Ruby la Boccassini è una fuorilegge

Il codice vieta ai creditori degli imputati di sostenere l'accusa. E nelle cause al Giornale Ilda vuole i soldi anche dal Cavaliere

Nel processo Ruby la Boccassini è una fuorilegge

Con i soldi dei risarcimenti incassati dal Giornale Ilda Boccassini avrebbe potuto comprarci una bella casa: 500mila euro incassati nel corso degli anni, a forza di querele e citazioni per danni. Proprio la sua lunga battaglia giudiziaria contro il quotidiano potrebbe però, se la legge venisse applicata in modo testuale, costarle anche una rinuncia dolorosa. La dottoressa non potrebbe pronunciare la requisitoria con cui questa mattina si accinge a chiedere la condanna di Silvio Berlusconi per il caso Ruby. A stabilirlo sono gli articoli 53 (comma due) e 36 del codice di procedura penale, che regolano i casi in cui un Procuratore della Repubblica deve sostituire un pm impegnato in un'udienza, specificando che se il procuratore non provvede deve farlo al suo posto il procuratore generale. Un obbligo tassativo, si direbbe a leggere il codice. Tra le ipotesi in cui scatta l'obbligo di cambiare il magistrato, c'è il caso che «una delle parti sia debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli». E proprio questo parrebbe il caso di Ilda Boccassini e del suo unico imputato, Silvio Berlusconi, legati da un assai cospicuo rapporto di dare-avere, proprio a causa delle azioni legali intentate dalla pm al Giornale.

Si potrebbe obiettare che è Paolo Berlusconi, e non suo fratello Silvio, l'editore del quotidiano, e che pertanto nulla deve il Cavaliere a Ilda Boccassini. Peccato che la stessa Boccassini la pensi esattamente al contrario: quando fa causa al Giornale, è convinta di fare causa non solo a Paolo ma anche, e soprattutto, a Silvio. Lo scrivono per suo conto i suoi avvocati nell'atto di citazione spiccato contro il Giornale nel gennaio 2000 in cui si chiedeva mezzo milione di danni per un articolo di Salvatore Scarpino: è la causa che la Cassazione ha reso definitiva nei giorni scorsi riconoscendole 100mila euro. «L'articolo dello Scarpino è ospitato da un quotidiano che notoriamente appartiene ai fratelli Berlusconi», si legge. Ancora: «Silvio Berlusconi è il dominus del quotidiano in questione». E per dimostrare che Silvio, e non Paolo, è il vero padrone del Giornale la Boccassini produce nella causa due sentenze del tribunale e del pretore del Lavoro di Milano. È alla porta di Silvio, insomma, che Ilda Boccassini bussava a quattrini. Ed è da Silvio che si aspetta di ricevere non solo i tanti soldi già incassati ma gli altri che ancora rivendica. Lo sta facendo nella causa d'appello a Brescia per un articolo di Gianfranco Lehner, per il quale chiede 250mila euro di risarcimento: anche qui nell'atto di citazione si legge che secondo la pm «la proprietà del Giornale si era venuta a identificare con il leader politico entrato in lizza». Insomma, se molti soldi finora ha avuto da Silvio Berlusconi, altri Ilda ne ritiene di doverne avere. È quindi un creditore dell'imputato, e come tale questa mattina avrebbe il dovere di non presentarsi in aula. Se lei non sentisse questo dovere dovrebbe farlo per lei il suo capo Edmondo Bruti Liberati. E se anche Bruti dovesse ritenere tacitamente abrogato l'articolo 53, dovrebbe intervenire il pg Minale.

C'è un precedente illustre in tal senso, e vede protagonista quell'Antonio Ingroia non troppo amato da Ilda.

Al processo Silvia Melis contro Nichi Grauso lui e i colleghi pm palermitani Caselli, Dileo e Sava si astennero correttamente dopo aver avviato una causa per danni all'editore sardo «Confermo, andò così. Poi intervenne il procuratore generale» dice Ingroia al Giornale. Il pg Celesti sostituì l'intero pool d'accusa col sostituto procuratore Del Bene applicato al processo di corte d'appello. Altri tempi, stesso codice.

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