Le bugie di Fini dilettante della politica

Nel suo libro lancia accuse a Feltri ma finisce per contraddirsi da solo

Le bugie di Fini dilettante della politica

S i è già parlato diffusamente del libro di Gianfranco Fini (Il ventennio, Rizzoli) in cui vengono raccontate tante vicende della politica, ma non tutte nel modo giusto. Ovvio. Ciascuno tira l'acqua al proprio mulino e cerca di apparire migliore di quanto non sia, pertanto è normale che dimentichi qualcosa. L'ex presidente della Camera, per esempio, si è scordato di spiegarci per benino come andò davvero la curiosa faccenda della casa di Montecarlo. Intendiamoci, l'autore per parlarne ne parla, eccome se ne parla. Ma non è molto convincente. Nel senso che dalla sua ricostruzione non si capisce ancora come mai quell'immobile di Alleanza nazionale, ricevuto in eredità da una nobildonna, sia stato venduto a prezzo stracciato a una società strampalata (estera) e poi sia finito nelle mani di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna del leader postfascista.

Non dovendo sostenere un contraddittorio, Fini ha buon gioco nell'affermare che dietro l'affaire non ci fosse nulla di irregolare. Non solo. Egli liquida l'incidente come una sciocchezza trasformata in scandalo dall'apparato mediatico di Silvio Berlusconi, un uomo capace di comandare a bacchetta i «suoi» giornalisti, ben lieti di obbedirgli azionando la «macchina del fango» contro gli avversari. La solita lagna di coloro i quali non hanno argomenti polemici per confutare la realtà. Fini sorvola. E a forza di sorvolare si smarrisce nel vuoto e non atterrerà più.

Non lo seguiremmo nelle sue giravolte celesti se non fosse che tira in ballo la mia trascurabile persona. Per dire a quale livello siamo, egli sostiene che il centrodestra, nel 1996, non vinse le elezioni (contro Romano Prodi) per colpa mia, e così mi attribuisce un'importanza che, se fosse vera, dovrebbe obbligare il centrosinistra a erigermi un monumento. Come avrei esercitato il mio potere antiberlusconiano? Organizzando all'epoca un'inchiesta - documentata - sulle eccessive agevolazioni di cui godevano le donne in maternità. In effetti, Il Giornale segnalò, tra le spese eccessive che l'Italia non poteva permettersi, quella degli assegni versati per mesi e mesi alle neomamme. Assegni record, sia per importo sia per durata del periodo di erogazione. In nessun altro Paese europeo era consentito astenersi dal lavoro dal terzo mese di gravidanza e rimanere a casa (con tanto di retribuzione) finché il bimbo non fosse grandicello.

Ecco. Questa verità incontestabile sarebbe stata la causa della sconfitta elettorale di Forza Italia e alleati. Pur di non ammettere che la rottura con la Lega di Umberto Bossi sia stata esiziale, Fini non esita ad addossare a me la responsabilità del successo prodiano. Un'analisi politica dilettantesca, per non dire ridicola. Se un solo giornalista, o un solo giornale, fosse in grado di determinare il risultato di una consultazione, i partiti, anziché investire milioni e milioni nelle campagne elettorali, si limiterebbero a strapagare un cronista come me. Magari!
Ma l'ex terza carica dello Stato non se ne rende conto. E insiste. Scrive che nel 2009 il mio ritorno alla guida del Giornale coincise con l'inizio di una campagna stampa contro di lui orchestrata da me su ordine del Cavaliere. Figurarsi. Il problema era un altro. Fini da tempo, ogni qual volta si presentava in pubblico, esprimeva critiche feroci verso il governo e il suo capo. I discorsi dell'ex missino suonavano simili a quelli degli esponenti di spicco del centrosinistra, i quali infatti erano generosi di applausi nei confronti di chi li pronunciava con crescente veemenza.

Era imbarazzante ascoltare il numero due del Pdl aggredire lo stesso Pdl per la linea politica adottata. Fatale che prima o poi sarebbe scoppiata una lite interna. Il Giornale non provocò l'esplosione, ma la annunciò con largo anticipo. Ed è falso dichiarare che il regista della querelle fosse il Cavaliere. Il quale - e sfido chiunque a dimostrare il contrario - non mi fece una sola telefonata né di incoraggiamento né di scoraggiamento: ignorò completamente la mia iniziativa, suggeritami piuttosto dall'osservazione del comportamento pubblico di Fini. Al quale farei notare una contraddizione. Da un canto mi rimprovera di aver fatto perdere le elezioni al centrodestra nel 1996, poiché attaccai il sistema protettivo della maternità; dall'altro dichiara che nel 2009 fu Berlusconi ad armarmi la mano contro di lui.

Si decida, caro Gianfranco: sono o non sono sotto tutela di Berlusconi? Se non lo ero nel 1996, è improbabile che lo fossi 13 anni dopo. Evidentemente lei non concepisce che il direttore di un quotidiano, avendo firmato un contratto che gli assicura piena libertà finché non viene licenziato, non penda dalle labbra dei familiari dell'editore.

Pensa, Fini, che sia un burattino, un mero esecutore di ordini, un soldatino al servizio del principe? Non mi stupisco che abbia queste idee - se mi permette, un po' fasciste - ma non le attribuisca a me. La mia storia professionale è piena di errori, ma li ho commessi io e li rivendico. So sbagliare da solo. Non ho bisogno dell'aiuto né di Berlusconi né di altri per farlo.

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