Non ha pagato l'Iva ma il giudice lo assolve «L'azienda era in crisi»

MilanoIn tutta onestà, si è consegnato mani e piedi all'Agenzia delle entrate. Un'impeccabile dichiarazione dei redditi in cui di fatto ammetteva che lui, imprenditore milanese, l'Iva non l'aveva pagata. E l'Esatri non si era fatta pregare: accertamento, cartella esattoriale per 180mila euro e segnalazione alla Procura. Quindi l'indagine, un primo decreto penale di condanna che sanzionava l'imprenditore con tre mesi di reclusione commutati in una multa da 45mila euro, la scelta di fare opposizione e di tornare davanti a un giudice, e infine una sentenza che - questa volta - è dalla parte del contribuente (ancorché) mancato. In tre parole: assolto per crisi.
L'uomo, un sessantenne titolare di un'azienda di elettronica andata a gambe all'aria, è stato infatti prosciolto dall'accusa di aver evaso l'Iva per 180mila euro nel 2008 con la formula «perché il fatto non costituisce reato». Secondo il gup di Milano Carlo De Marchi mancava la «volontà di omettere il versamento», nonostante la Procura ne avesse chiesto la condanna a due mesi di reclusione. Ma l'imprenditore, assistito dagli Luigi Giuliano Martino e Marco Petrone, si è difeso esibendo carte, conti, bilanci, entrate e uscite della sua ditta, dimostrando in sostanza che non c'era alcuna volontà di evadere il Fisco, ma mancava la possibilità di pagare il dovuto all'Erario, tanto da non aver omesso nulla nella propria dichiarazione dei redditi. Un comportamento evidentemente apprezzato e premiato dal giudice, che fra trenta giorni depositerà le motivazioni della sentenza e spiegherà quello che - da qualche tempo - sta diventando una tendenza condivisa negli uffici giudiziari milanesi: non infierire sui contribuenti quando le pendenze con il Fisco non nascono da comportamenti dolosi. E quando la causa dei mancati pagamenti sono i crediti nei confronti delle amministrazioni pubbliche gravemente inadempienti. Ovvero, lo Stato non può chiedere se prima non dà.
Due sentenze, nel recente passato, hanno tracciato un solco. La prima - è del settembre 2012 - pronunciata dal gup Maria Grazia Domanico, la seconda dal giudice per le udienze preliminari Claudio Castelli, e risale al gennaio scorso. In sintesi, «non sussiste il dolo del reato di omesso versamento di ritenute in capo al sostituto di imposta che non abbia potuto adempiere all'obbligazione tributaria perché la società di cui è legale rappresentante affronta una mancanza di liquidità dovuta a gravi inadempimenti da parte di Enti pubblici, pur essendosi egli attivato per il recupero di quei crediti ed avendo effettuato i versamenti dovuti non appena in grado di farlo».
Nel caso dell'imprenditore milanese, però, sembra si sia andati oltre. L'uomo, spiegano gli avvocati, ha evaso l'imposta «a causa della difficile situazione economica dell'impresa e, più in generale, della crisi finanziaria del Paese». Inoltre, «l'Agenzia delle entrate era stata informata dal contribuente dell'importo Iva dovuto, motivo per cui non vi era l'intento di evadere».

Risolto il versante penale della vicenda, resto quello tributario. Il contenzioso con Equitalia è aperto, e prima o poi quei soldi andranno recuperati. L'imprenditore lo sa, ma c'è poco da fare. «Non ho neanche gli occhi per piangere».

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