«L'Italia non era un disastro: è diventata un disastro con l'austerity. Quella dell'Italia è una crisi indotta artificialmente: il Paese non è così malato. La sua economia non è così malata, se si guarda ai fondamentali. È l'austerity ad avere portato l'Italia in sciagura». Ebbene, non è Silvio Berlusconi a parlare, ma George Soros, uno che di finanza (e di speculazione) se ne intende, a Davos la settimana scorsa. All'incontro ha partecipato anche il nostro premier, più a far campagna elettorale coi poteri forti internazionali che per il suo ruolo. E di suoi amici ce ne erano tanti. Ma non sono stati giorni facili. Sia per le critiche ricevute da più parti sulla sua politica economica e sulla passività con cui ha accettato in Italia i diktat imposti dalla Germania per il tramite dell'Ue; sia per le notizie che gli arrivavano dall'Italia.
Il senatore a vita, presidente di un governo tecnico, dimissionario, in carica per gli affari correnti, leader della coalizione centrista in corsa per le elezioni, il professor Mario Monti ha due gravi problemi che non può non affrontare: i conti pubblici e il nodo Monte dei Paschi di Siena.
Per la salute dei conti pubblici italiani, al di là di quanto (non) dicono il presidente del Consiglio e il suo ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, il 2012 ha chiuso fuori dal percorso ipotizzato nel Def per il pareggio di bilancio nel 2013 di quasi mezzo punto di Pil (0,4%, l'equivalente di 6-7 miliardi di euro) e la crescita del Pil prevista per il 2013 è ben lontana da -0,2%, ma si attesterà attorno a -1%, dato su cui convergono Banca d'Italia, Ocse e Fmi, vale a dire un valore 5 volte superiore, in negativo, a quanto atteso, sbagliando i conti, dal governo.
I dati provenienti dall'economia reale non migliorano lo scenario. Uno per tutti: la disoccupazione. Se si sommano disoccupazione (in aumento di oltre 600mila unità al 12%) e cassa integrazione (+1 miliardo di ore, che equivalgono a oltre 500mila individui che hanno perso l'occupazione), arriviamo a un totale di senza lavoro in Italia pari al 22%. Questo provoca maggiori spese per lo Stato, soprattutto relative alla cassa integrazione, che dovrà essere rifinanziata da maggio per 7-8 miliardi. Da tutto ciò deriva oggi un allontanamento dal tracciato per il pareggio di bilancio nel 2013 che richiede una correzione dei conti pubblici per almeno 10-16 miliardi di euro: quasi un punto di Pil, se vogliamo mantenere gli impegni presi con l'Europa. L'unica risorsa a bilancio è data dalla possibile minor spesa per interessi. Ma i margini sono molto limitati, essendo questa già scontata nei tendenziali.
Una correzione dei conti pubblici che si inserisce in un quadro economico già fortemente compromesso e che andrà a togliere ulteriormente fiato alle famiglie e alle imprese, già gravemente provate da 325 miliardi di manovre dal 2008 ad oggi. E che dimostra come le misure sangue, sudore e lacrime adottate con la pistola puntata alla tempia dello spread per «far fronte» alla crisi non hanno portato i risultati sperati.
Il governo Monti non può sottrarsi alla responsabilità del disastro dell'economia reale e della necessità di un'ulteriore manovra correttiva dei conti pubblici. Nel momento in cui il Paese aveva maggior bisogno di cambiamento, l'esecutivo tecnico ha sbagliato le riforme (quella del lavoro ha aumentato la disoccupazione, soprattutto giovanile; quella delle pensioni ha creato il dramma degli «esodati», finendo per produrre più costi che risparmi) e ha aumentato le tasse. Né vale l'affermazione del premier secondo cui il 67% delle imposte aggiuntive introdotte nel 2012 è stato deciso dal governo Berlusconi. Perché nel 2008 il governo Berlusconi ha iniziato il proprio mandato con la pressione fiscale al 42,6% e nel 2011 lo ha forzosamente terminato con la pressione fiscale al 42,5%: invariata. Mentre è stato proprio il governo Monti a farla aumentare di oltre 2 punti in 12 mesi (dal 42,5% nel 2011 al 44,7% nel 2012), che diventano quasi 3 se si considera l'eredità che ci ha lasciato per il 2013 (45,3%). Dati della Banca d'Italia.
Né vale il ragionamento che fanno alcuni commentatori di parte, secondo cui Berlusconi avrebbe scaricato l'onere fiscale sul governo successivo, perché quella cui si riferiscono era una semplice clausola di salvaguardia contenuta nella delega fiscale, che sarebbe scattata solo qualora questa non fosse stata approvata entro il 30 settembre 2012. Se al governo Berlusconi non è stata data la possibilità di completare il suo lavoro sappiamo di chi sono le responsabilità e comunque la clausola di salvaguardia non è mai diventata operativa. Mentre Monti ha usato a man bassa la leva fiscale per salvare, a suo dire, l'Italia.
Infine, Mps: dove sarebbe andato a finire lo spread e la tanto sbandierata credibilità dell'Italia in questi giorni di tempesta finanziaria, se non ci fosse stata la Bce a garantire la calma sui mercati? Venerdì scorso lo spread ha chiuso a 255 punti base: in grande ribasso. Eppure l'Italia versa in una recessione spaventosa, il governo è in crisi e la terza banca più importante del paese è al centro di uno scandalo di proporzioni pari solo a quelle della Banca romana di fine '800 ed espone lo Stato a un rischio di valore equivalente a 2 punti di Pil, se si considerano i 3,9 miliardi di Monti bond e la fidejussione che il governo ha sottoscritto a dicembre 2011 a garanzia di 28 miliardi di obbligazioni Mps.
L'andamento dello spread dell'ultima settimana dimostra come questo prescinda dai fondamentali economici dei Paesi e dalle vicende interne degli Stati, mentre in gran parte dipende dall'euro e dalla Bce. Come oggi lo spread cala incurante della crisi economica, politica (crisi di governo) e finanziaria/bancaria (Mps), così l'impennata di novembre 2011 nulla aveva a che fare con il baratro o con l'asserita debolezza del governo italiano. Questo è il grande imbroglio! Che è sotto gli occhi di tutti nonostante il presidente Monti non lo abbia mai spiegato agli italiani. La polvere sotto il tappeto, oltre che finanziaria, è anche morale.
Per tutte queste ragioni, a riferire in Parlamento dovrà essere Monti. In caso contrario saremmo in presenza di un vero e proprio caso di diserzione civile e politica. Inaccettabile.
Il suo si configura sempre di più come un «azzardo morale», che fa solo male. Un venir meno alla parola data, un insopportabile opportunismo per nascondere i suoi fallimenti. Ma gli italiani lo hanno capito. Ci vediamo in Parlamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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