C'è qualcosa di molto italiano nell'accordo che evita il fallimento degli Stati Uniti d'America. È la precarietà di un'intesa che mette fuori dalla porta l'incubo del default, ma che non risolve i problemi. Democratici e repubblicani siglano un patto che permette al governo di riaprire, che consente al presidente Obama di dire di aver vinto, ma che non evita comunque la figuraccia che Casa Bianca e Congresso hanno fatto in questi giorni. Perché l'accordo non è un compromesso tra due posizioni, quanto una toppa a un buco che presto si riaprirà: rammendarlo definitivamente è pratica al momento impossibile e il motivo è la distanza siderale tra le idee di America rappresentate dalla Casa Bianca e dai repubblicani, specie dall'ala più dura dei Tea Party. In sostanza il Congresso ha deciso in relazione al tempo e non al contenuto. Bisognava farlo, secondo loro, e l'hanno fatto. Punto. Il resto sarà l'esultanza di Obama che nelle prossime ore dirà di aver vinto. Formalmente è così: il presidente rinuncia a molto meno rispetto a quanto facciano i conservatori più puri. Le limitazioni imposte dall'accordo alla sua riforma sanitaria sono bazzecole, mentre l'innalzamento del tetto del debito fino al 7 febbraio è molto più di quanto i repubblicani erano disposti a concedere fino a ieri. Il presidente gongola all'idea che le trattative dello shutdown abbiano mostrato la frattura che c'è tra l'establishment repubblicano e il Tea Party. Gode probabilmente ad aver battuto la resistenza proprio degli ultraconservatori che ieri, a detta di molti, sono stati sconfitti. Il senatore texano Ted Cruz, uno dei personaggi simbolo di queste ore, ha annunciato che non si opporrà all'accordo anche se non lo condivide.
Ma al di là della vittoria di giornata, Obama può festeggiare davvero? No. Resta che molte delle contestazioni mosse dai repubblicani e dai Tea Party non cambiano, a cominciare dalla corsa del debito pubblico americano che con questa amministrazione è salito a livelli folli. C'è una parte di Paese che non lo accetta e non lo accetterà neanche di fronte a questo accordo. È un problema enorme per un presidente il cui gradimento è nuovamente in caduta verso i minimi, specie quando il dato si riferisce alle politiche economiche.
Negli ultimi tempi, il presidente è stato sempre più rigido nella difesa della Obamacare. L'idea è chiara: non mollerà l'unica vera riforma che ha fatto in quasi cinque anni. Ma può un principio battere i numeri a ogni costo? Negli ultimi mesi molti giornali, dal Wall Street Journal al Washington Post hanno svelato che i costi a carico della collettività saranno ben più alti di quelli previsti e che in molti Stati le aliquote fiscali dovranno necessariamente aumentare. I dati non fanno altro che aumentare il divario tra i fan e i nemici della riforma e mettono il presidente nella posizione di chi divide il Paese anziché unirlo. Quando comparve sulla scena politica questo giovane senatore dell'Illinois si presentò come l'alfiere dell'America viola, l'unione tra il blu democratico e il rosso repubblicano. La sua presidenza è andata dalla parte opposta: ha polarizzato lo scontro e l'onda dei movimenti ultraconservatori ha ulteriormente ampliato le distanze.
L'America non va da nessuna parte, adesso. Tira e molla. Obama porta a casa un successo mediatico e politico temporaneo. Ma che non apre la strada ad alcuna nuova era. È questa la sensazione. Le trattative sullo shutdown sono state la sconfitta della politica intesa come arte della sintesi e la conclusione ne è la prova. Il compromesso c'è, ma è formale, di facciata, superficiale. È un mezzo per raggiungere un fine e basta. L'accordo sancisce l'interesse di Casa Bianca e mezzo partito repubblicano a non rimanere col cerino in mano, di non essere sostanzialmente considerati i responsabili di un eventuale default.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.