È oltre un anno che tramavano da democristiani

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È una resa dei conti lunga quasi un anno. Angelino Alfano si presenta davanti a Berlusconi non più con i panni del giovane segretario e passacarte, e neppure con quelli del numero due, del delfino, volto a pera del berlusconismo. Quando arriva ha già dichiarato a tutta la stampa che non c'è spazio per una trattativa: tutti i parlamentari del Pdl devono votare la fiducia. Il Cavaliere può solo prenderne atto. Ormai non ci sono più maschere o finzioni. Non c'è più neppure spazio per tornare indietro. O il capo si arrende o è scissione.
Solo che la dinamite sotto il destino del centrodestra non è stata messa in questi giorni. Sta lì da tempo. È un piano portato avanti con pazienza dorotea, un candelotto alla volta, giorno dopo giorno, mentre Berlusconi cercava di difendersi dai colpi della magistratura, senza sapere che il segretario del partito scavava un tunnel per far saltare tutto. Il quid debole di Angelino era tutto nascosto (...)

(...) nel sottoscala, nelle trattative al buio, nei giochi d'ombra e nei patti trasversali. Stile democristiano, dove i malumori e le ambizioni non si mostrano e i risentimenti non si urlano, ma si covano e si sussurrano. È questo il Dna di Angelino e in fondo ha solo seguito la sua natura.
Tutto quello che avviene adesso è cominciato almeno in quel giorno di dicembre, il quindici, al teatro Olimpico a Roma. Era il 2012. Giorno di San Valeriano. Il governo Monti sta ballando il suo ultimo valzer, da lì a sei giorni non avrebbe più avuto i numeri per andare avanti. Le elezioni sono una certezza. Alfano pensa che toccherà a lui sfidare il Pd. Berlusconi sa che per non andare incontro a una disfatta sicura serve ancora un suo miracolo. Angelino è un bravo figliolo, ma appunto non ha il quid. Alfano allora comincia a tessere la sua tela sotterranea. Si muove verso il centro e dialoga con Monti e la sua area di post berlusconiani. Ci sono i soliti Casini e Fini, c'è Montezemolo e c'è quella parte di Pdl che da una vita sogna di morire democristiana. Frattini, Formigoni, Lupi, Urso, Ronchi, Mauro, Quagliariello, Saltamartini e più altri nomi che ancora non hanno il coraggio di apparire, ma sono pronti a buttarsi nel mucchio se l'operazione si mostra vincente. In questo teatro a un passo dal Lungotevere, nel quartiere Flaminio, la parola d'ordine è «ripartire dalla candidatura di Alfano». Si parla di un risultato elettorale intorno al 30 per cento, molto di più di quanto possa solo sognare un Berlusconi in prima linea. Monti pone come condizione tassativa che il Cavaliere si faccia da parte. Si sa poi come è andata a finire.
Alfano non ha avuto il coraggio allora di consumare lo strappo, ma il desiderio è rimasto. Sempre. Come il desiderio di tornare alla Dc perduta, magari con il nome di Italia Popolare. Evocato proprio al teatro Olimpico, tanto da far alzare il ditino a un vecchio democristiano come Gerardo Bianco che rivendicava di aver registrato già lui quel marchio. Poi sulla sua strada, quella che portava al governo, quella delle larghe intese, Alfano ha ritrovato Enrico Letta, quasi coetaneo, democristiano come lui, e le speranze sono tornate forti. Quel progetto si è allargato ancora più a sinistra. Ed è attualissimo. Nell'agenda dei due c'è una data segnata come importante, benedetta oltretutto da Napolitano. La data è il 2015. L'idea è di far sopravvivere questo governo altri due anni e poi andare alle elezioni con un nuovo centro, dove si ritroveranno i vecchi amici del teatro Olimpico, i Lupi, i Formigoni, i Quagliariello, i Casini, con in più Enrico Letta, Franceschini e il fronte dei cattolici del Pd con vocazione centrista. È qui che punta questa scissione. È qui che volano le colombe. A quel punto, sostengono, Berlusconi sarà politicamente archiviato. E a dividersi l'Italia ci sarà da una parte il democristiano Renzi e dall'altra un'ammucchiata democristiana guidata dai troppi «vice», Enrico Letta, Alfano e compagnia.

Con un finale che non lascia scampo: moriremo tutti democristiani. E a quel punto alla massa dei fedeli non resterà che una sola possibilità, certificare con il voto il più triste dei «e così sia».

di Salvatore Tramontano

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