Omaggio all'amico Emilio: grande nel bene e nel male

Un maestro di giornalismo esce di scena per decisione dell'azienda, non sua. E l'amicizia speciale con Berlusconi è stata una fortuna e una maledizione

Omaggio all'amico Emilio: grande nel bene e nel male

Spero non si offenda Emilio Fe­de se, parlando di lui, mi viene in mente Vitaliano Brancati, scrittore siciliano, che prendeva in giro affettuosamente i propri conter­ranei e i loro miti, anzitutto il galli­smo. Per capirci subito, cito Paolo il caldo , l’ultimo libro di Brancati. Fe­de è un personaggio da romanzo, complesso ed enigmatico, sponta­neo negli atteggiamenti, ma non sempre schietto come appare. In­somma, è impastato di sicilianità e non potrebbe essere diversamente essendo nato nell’isola. Ieri Aldo Grasso sul Corriere della Sera , ricordan­done la carriera, che non è chiusa ma semichiusa, gli ha reso cavalle­rescamente l’onore delle armi: di Emilio si può dire tutto, tranne che non sia stato un protagonista dell’informazione.

Forse continuerà a esserlo. Glie­lo auguriamo, anche se, alla so­glia degli 81 anni, il futuro non po­trà essere lungo quanto il passato.
Sapevamo, noi del cosiddetto cir­co massmediatico, che Fede stava per abbandonare la direzione del
 Tg4 , però la sua uscita ci ha co­munque colti di sorpresa per co­me è avvenuta. Ci aspettavamo che la data dell’addio coincidesse con quella del suo prossimo com­pleanno, l’ottantunesimo appun­to, il 24 giugno. Soprattutto erava­mo persuasi che il saluto ai tele­spettatori sarebbe stato accompa­gnato da una cerimonia solenne, lacrime e champagne.
Previsione sbagliata. La vita non rispetta mai il copione sugge­rito dai nostri desideri. Nel bene, e soprattutto nel male, ti stupisce sempre. È andata così anche sta­volta: Emilio esce di scena malin­conicamente per decisione del­l’azienda, non sua. Ma serve ag­giungere che, se fosse dipeso da lui, da quella scena non sarebbe mai uscito se non per cause di for­za maggiore. Credo di sapere qua­le sia il suo stato d’animo. Certe esperienze le ho vissute anch’io, sia pure in altre forme. Quando sa­li sul podio, sei temuto, corteggia­to, blandito e spesso ingannato. Quando scendi, vieni sommerso dall’indifferenza,se va bene.Se va male, gli sguardi di chi ti aveva adulato si trasformano in punte acuminate che trafiggono.

Vuotare i cassetti della scriva­nia, percorrere in solitudine i cor­ridoi, nessuno che ti aiuti a porta­re via gli effetti personali: è come assistere al proprio funerale. In quel momento, comprendi con amarezza i tuoi limiti e quelli degli altri. Gli uomini nel peggio sono tutti uguali. Il direttore di un gior­nale, e in genere ogni capo, un mi­nuto dopo non esserlo più, è un po­veraccio e come tale viene tratta­to. È già un successo se non gli spu­tano addosso.
Fede in questi giorni amari do­vrà sopportare un peso in più: quello dell’età.Facile dire a uno di 81 anni:ma va’là che non li dimo­­stri, sei ancora fresco e lucido, puoi fare molte cose. Vero. Ma che consolazione è per uno consa­pevole che la vecchiaia è il prete­sto più comodo dei detrattori per spargere sul tuo conto ogni sorta di malignità? Finché sei in sella, la pista ti sembra infinita, ma non lo è, e te ne accorgi quando posi i pie­di per terra.

Emilio, come chiunque, ha commesso molti errori, però non sarò io a rammentarglieli, dato che il mio bagaglio di stupidaggi­ni è colmo e me lo tengo sulle spal­le. Quando, poco più che ragazzo, egli giunse a Torino dalla natia Barcellona Pozzo di Gotto per la­vorare alla Gazzetta del Popolo , so­no sicuro che non sperasse in un avvenire radioso quale poi è stato, pur disseminato di tribolazioni.
Massì, gli è anda­ta di lusso: fu as­sunto alla Rai (fa­vorito
 dalla stima che aveva in lui En­zo Biagi), promos­so inviato specia­le del Tg1 e poi vi­cedirettore e diret­tore, incarico, quest’ultimo, co­ronato dal capola­voro della diretta da Vermicino, con quel bimbo precipitato in un buco da cui fu estratto morto, nonostante nume­rosi tentativi di salvarlo.

Fede nel giornalismo televisivo ha fatto scuola,occorre dirlo.L’in­formazione in Fininvest (adesso Mediaset) l’ha inventata lui con 
Studio Aperto ,
 e fu lui la notte del primo bombardamento america­no su Bagdad, nel 1991, a darne no­tizia.

Un cronista formidabile, capa­ce di calamitare l’attenzione dei telespettatori, con due immagini e quattro appun­ti, per ore e ore. Tutto questo sa­rebbe disonesto dimenticarlo.

Il resto è vita. Ebbe una grana giudiziaria, ai tempi della Rai, per faccende di gioco d’azzardo, ma ne uscì pulito: assolto. L’amici­zia e la collabora­zione con Silvio Berlusconi è stata una fortuna e una maledizione: Emilio ha trascor­so 20 e passa anni sotto le antenne del Biscione, sicuro del fatto suo e del fatto che il Cavaliere aveva un debole per lui. Il quale Cavaliere, difatti, lo considerava ospite fisso alla corte di Arcore. Nelle rare cir­costanze in cui anch’io sono stato ammesso nella reggia, Fede era lì, alla destra dell’Onnipotente. Non ha mai dissimulato la propria gra­titudine, nemmeno nella gestio­ne del telegiornale; aveva e forse ha ancora un dubbio: collocare Sil­vio nel tabernacolo o tenerlo nel cuore? Ha alternato le due cose. Lo ha fatto senza infingimenti, a suo modo è stato onesto. Chi ha se­guito il Tg4 ne era edotto: Emilio era il Verbo e il Verbo era quello dell’Altissimo.

Ignoro quali siano le vicende che hanno provocato la rottura né intendo indagare per scoprirle e raccontarle. Questo articolo va preso per ciò che è:un omaggio al­­l’amico che lascia, a un maestro di giornalismo che meritava una ce­lebrazione in video: la sua casa, la sua passione, il suo amore.

Delle storie private del direttore uscen­te non importa nulla; ripeto sol­tanto che se ne dovrebbe occupa­re Vitaliano Brancati, se ci fosse ancora.
Senza Fede, non c’è più religio­ne. 

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