È partito per Parigi molto soddisfatto, Matteo Renzi: dopo mesi di silenzioso ostruzionismo, di guerriglia interna al Pd e di trattative sotterranee a singhiozzo, la «sua» riforma del Senato sembra finalmente sbloccata e praticamente pronta per approdare nell'aula di Palazzo Madama, il 3 luglio prossimo. Con numeri blindati che, grazie ad un'intesa con Forza Italia che pare ormai molto solida, rendono del tutto ininfluenti le sacche di resistenza che ancora permangono nel Pd. Per il governo, il «patto del Nazareno», aggiornato e rinsaldato negli ultimi giorni, è la garanzia necessaria a far marciare senza ulteriori intoppi la riforma, almeno in prima lettura. E che il governo ne sia pienamente consapevole lo dimostrano le parole del ministro Maria Elena Boschi, che difende senza ipocrisie gli accordi con Silvio Berlusconi da chi accusa il Pd di privilegiare il dialogo con un «pregiudicato», ossia con il Cavaliere: «Stiamo facendo un processo di riforme con un partito che rappresenta milioni di cittadini e che siede in Parlamento», rintuzza secca le accuse. Sulle riforme e sulla legge elettorale, spiega «è giusto che ci sia un consenso ampio», perché il Pd «non vuole andare avanti a colpi di maggioranza». Quanto ai grillini, che bussano insistentemente alla porta del governo dicendo di volersi sostituire come interlocutore al Cavaliere, Boschi delimita nettamente la loro possibilità di interlocuzione: «C'è un dialogo aperto anche con loro, ma non si può buttare all'aria il lavoro di mesi che ha coinvolto tutto il Parlamento». Grillo e Casaleggio, insomma, si sono svegliati troppo tardi e non possono sperare di far saltare accordi istituzionali cui si lavora da mesi. La riforma del Senato non si tocca, mentre su quella della legge elettorale la Boschi lascia aperto un piccolissimo spiraglio sulle preferenze, che però ha più il sapore di specchietto per le allodole che altro: «Preferenze sì, preferenze no, è uno dei punti che restano aperti perché anche nel nostro partito ci sono opinioni e sensibilità diverse». Si può ridiscutere tutto, dice, ma «la nuova legge elettorale deve garantire a chi vince la possibilità di portare avanti con stabilità i propri programmi».
Sistema maggioritario, quindi, e non i pasticci proporzionali inventati dai Cinque Stelle. E di preferenze si potrebbe discutere (per altro anche una parte dei renziani le vede di buon occhio) ma solo se anche Forza Italia fosse d'accordo: cosa che per ora è lontanissima dal vero.
Certo, il Pd non vuol dare l'idea di chiudere la porta in faccia ai grillini, ma dalla strada imboccata non si devierà certo proprio ora che la riforma può decollare. Dalla sinistra Pd, anche il presidente Matteo Orfini difende la linea: noi accettiamo il dialogo con M5S, dice, ma questo vuol dire che loro «devono accettare quel che è stato fatto in un anno e mezzo, mentre i deputati grillini stavano sui tetti. Non si può ricominciare daccapo». Quanto alle preferenze, Orfini invita a rifletterci bene perché «sono esposte a quelle degenerazioni per le quali erano state abolite». Di legge elettorale si parlerà comunque più avanti: per ora c'è da portare a casa la prima lettura del nuovo Senato. Renzi ha ceduto parecchi punti ai suoi interlocutori, anche interni: raccontano ad esempio che l'ampliamento (per molti abnorme) delle competenze del Senato a leggi elettorali e costituzionali sia stato introdotto per tener buoni i malpancisti della sinistra Pd, strenui difensori del Senato elettivo. «Un passo avanti importante - concede il loro capofila Vannino Chiti - ma deve aver competenza anche sui grandi temi dei diritti civili», rilancia inesausto.
È polemica anche sull'immunità, introdotta da un emendamento: i grillini la attaccano («Regalo a Berlusconi»), Pippo Civati la critica. «È solo una proposta, vedremo», dice la Boschi. E Roberto Calderoli rilancia: «Togliamo l'immunità a tutti, deputati e senatori siano trattati come cittadini»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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