Il Pd fa fuori Renzi: il futuro è Letta

Epifani esce allo scoperto: chi vincerà le primarie non sarà l'unico in corsa per Palazzo Chigi, è fisiologico

Il Pd fa fuori Renzi: il futuro è Letta

Roma - La ritirata cominciò il giorno stesso dell'attraversamento del fiume Niemen, il 24 giugno 1812. Seicentomila uomini ben equipaggiati, arsenale bellico senza precedenti, rilevarono con stupore di non trovare alcuna vera resistenza. Il 13 settembre erano già a Mosca, abbandonata dal generale Kutuzov poche ore prima. «Una buona battaglia avrà ragione del vostro amico Alessandro», aveva detto Napoleone Bonaparte un anno prima all'ambasciatore francese. Ma grande battaglia non ci fu, né buona né cattiva. Alle 22 del 5 dicembre il grande Còrso era già in viaggio per Parigi; il mattino dopo la temperatura toccava i meno 30 gradi. L'otto dicembre, giorno dell'Immacolata, la Grande armata era stremata, allo sbando, senza controllo. Il 14 il generale Ney riparò in Polonia con i superstiti: meno di un sesto dei soldati, centomila.
Considerati i vasti precedenti, con debita proporzione delle sorti, il sindaco Matteo Renzi potrebbe cominciare a interrogarsi su quello che nel Pd viene definito «trattamento Napoleone» (magari ironizzando sullo scolapasta). Quanto vuoto sarà il guscio che troverà in largo del Nazareno? Di che natura il partito da riorganizzare tanto a livello nazionale che in ambito locale? La trasformazione in atto nel Pd, con i tanti Kutuzov e cosacchi nascosti nella steppa, non lascia adito a speranze. Ieri il segretario uscente Epifani ha consegnato, si può dire, le chiavi di Mosca. Frasetta all'apparenza scontata, ma dal sapore amaro, detta alla vigilia delle primarie per la leadership. «Chi vincerà sarà anche candidato premier, ma non sarà solo lui. Chi vorrà concorrere potrà farlo, giusto così perché così s'è fatto nel passato. Anche Letta? Deciderà lui, può essere. Vorrei che si assumesse tutto questo come percorso fisiologico».
Non straordinario, dunque: fisiologico. L'annotazione merita d'essere inserita nel contesto perché, come spiega Epifani, «fare il segretario è un compito oneroso... Però si deve fare in modo nuovo, stando di più in mezzo alla gente. Poi decide Renzi se restare sindaco o no, ma quello che penso è che sia un compito molto impegnativo». Anche considerando, come chiarisce la diagnosi di Epifani, che il Pd «è vero, talvolta assomiglia più a uno spazio pubblico che a un partito, però ha tanti bravi amministratori locali... È un partito che ha molti problemi, ma almeno è uno dei pochi non personali». Almeno, fino a Matteo. Contro l'idea di diventare un «Forza Renzi», come lo definisce l'ex leader Bersani, si coagula il grosso del malcontento dei generali, vecchi e nuovi, e della truppa. Non a caso questo è uno dei cavalli di battaglia su cui insiste Cuperlo, uno che interpreta a meraviglia il comune sentire dell'anima del partito, quella dei funzionari che tirano non il carro del vincitore, ma la carretta da anni. Così non si fa certo sfuggire l'imbeccata di Epifani: «È evidente che il nuovo centrosinistra dovrà convocare delle primarie per scegliere il candidato premier della coalizione... Chi si candiderà non lo so, so però che tra quei candidati io non ci sarò, perché io mi candido a fare il segretario del Pd». Miglior frase per orgoglio di bandiera non poteva esser pronunciata.
Evidente quindi che la vittoria di Renzi si appoggerà al voto dei non-iscritti, e che questa frattura rischia di essere il Generale Inverno dei renziani. La minaccia di scissione, già evocata a suo tempo da D'Alema, è nei fatti. Anzi, «inevitabile se Renzi farà il Renzi», come sostiene il professor Cacciari. Il clamoroso abbandono di Prodi non è solo vendetta, piuttosto l'ammissione di un fallimento: cosa che il Professore non manca di rilevare da tempo. «Il Pd non è mai nato».

E se persino Enrico Letta dice di «capirne le ragioni», se le polemiche sull'adesione al Pse (che anche Renzi ha preannunciato) lacerano le coscienze dei dc che hanno trovato in Letta il loro campione, si fa presto a capire che le tribù non hanno più nulla da dirsi al di fuori delle logiche di spartizione del potere. La «storia non fa sconti», ricordano i socialisti Nencini e Bobo Craxi. Anche se Epifani la minimizza come «polemica in un bicchier d'acqua», la scelta sarà una sola. Bere o affogare; magari affogare bevendo.

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