Il Pdl toglie un altro giorno di vita a Letta

Il Pdl toglie un altro giorno di vita a Letta

RomaStaccare la spina. Magari alla fine sarà davvero compito dei «cortei di disoccupati», come urla Angeletti dal palco della rediviva Triplice a piazza San Giovanni, mandare al camposanto un governo «che cincischia, non ha coraggio e non decide, ostaggio di bizantinismi», come affondano (nel burro) la Camusso e Bonanni. Lo farà dunque il «deserto del lavoro», le imprese che boccheggiano straziate dalle tasse, piuttosto che Pd e Pdl per quella maliziosa exit strategy ieri evocata da Pier Ferdinando Casini (specialista di matrimoni che stentano, tipo quello con Monti).
Eppure di fronte a un corpo che non dà segni di vita, a una macchina che non fornisce sussulti, cos'altro fare? La sensazione palpabile di un possibile «fine corsa», benché non augurabile, è stata raccolta da un ventaglio di posizioni talmente ampio (da Vendola alla Santanché) che devono essere ben fischiate le orecchie al premier persino nella Chiesa di San Sisto di Piacenza, dove si celebrava il matrimonio della deputata pidì Paola De Micheli. D'altronde, dopo il teso pranzo «d'affari» con Alfano del giorno prima, ormai Letta il Giovane non può più fare finta di nulla, «andare avanti come se niente fosse» (questa la consegna dell'entourage). L'ultimatum risuonato durante l'incontro tra i due, ieri è diventato nero su bianco, facendo salire al massimo la tensione sull'aumento dell'Iva, all'ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri di mercoledì. «Il destino del governo è legato al programma e se non è realizzato il governo non va avanti - ha ribadito Alfano urbi et orbi - Dobbiamo intervenire sulle tasse, sul cuneo fiscale e detassare le nuove assunzioni. Sono questioni fondamentali e, a partire dall'Iva, la nostra linea è evitare l'aumento della tassazione». La modalità dell'ultimatum, per quanto la sostanza fosse nota, ha sortito effetti sorprendenti. Così il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, sceso in piazza con i sindacati «per condividerne gli obiettivi», ha nel contempo risposto al Pdl che «far cadere il governo in una fase così drammatica sarebbe da irresponsabili». E se Damiano, Dellai e altri esponenti del Nazareno appoggiavano gli inviti «alla concretezza e alla rapidità» rivolti dalla Triplice a Letta, il ministro Franceschini s'assumeva il compito della difesa: «Siamo arrivati alla perfezione del diktat al governo pronunciati da esponenti che del governo fanno parte. Evidentemente lanciano ultimatum a se stessi. Tra tutte queste parole noi intanto continuiamo a lavorare per reperire le risorse possibili...». Lavoro punto fruttuoso, se i responsabili del ministero, ancora ieri, brancolavano nel buio. E il titolare dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, più vicino alle esigenze della Bce di Draghi che a quelle del governo, ha rinviato ogni decisione all'inizio della settimana (modo per sottrarsi alla pressante mediazione lettiana).
In una situazione del genere il viceministro Fassina assicurava che «nessuno nel governo vuole aumentare le tasse», spronava il vicepremier a «contribuire a trovare le soluzioni», ma gettava anche benzina sul fuoco: «O Alfano cerca di scaricare sul piano programmatico del governo le tensioni accumulate da Berlusconi sul piano giudiziario?». L'interpretazione trovava Chiti e la Bindi pronti come per un invito a nozze, ma Latorre assai restio a seguirli: «Continuo a ritenere che le vicende giudiziarie di Berlusconi non condizionino l'esito del governo». «Sulla questione giudiziaria le nostre idee sono fin troppo chiare - replicava Alfano - ma non le abbiamo poste come questione condizionante per il governo».

«Siamo concentrati sull'economia», ribadivano Cicchitto e Brunetta. Ma comunque è in arrivo la sentenza di primo grado su Ruby, e martedì e mercoledì sono in calendario riunioni cruciali in casa Pdl. È chiaro che si corre tutti sul filo dell'alta tensione.

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