Pininfarina, un genio che amava disegnare le auto dei nostri sogni

Addio al maestro dell'auto, aveva 85 anni. Ha creato i modelli più eleganti d’Italia, con lui la macchina è diventata un’arte. A segnarlo la tragica morte del figlio

Pininfarina, un genio che amava disegnare  le auto dei nostri sogni

Romano Prodi era in equilibrio precario. Dico del suo governo. Venne il giorno del giudizio, Massimo D'Alema concluse la sua relazione e in Parlamento l'aria si fece caldissima. Volavano parole e fogli, pizzini e messaggi di tipo vario, Sergio Pininfarina, senatore, apparve e sorprese gli astanti andando a sedersi tra i banchi di Forza Italia, fu il segnale. Gli arrivò, quasi addosso, Valerio Zanone, un piemontese vero e liberale ancora più verace, di quelli ormai smarriti o perduti del tutto. Zanone aveva abbandonato il partito, cancellato dal pool milanese, e si era spostato sotto l'albero dell'Ulivo. In nome, anzi in forza dell'amicizia antica, Zanone cercò di distrarre il senatore invitandolo a bere un caffè. Sergio Pininfarina accettò, il dialogo durò pochissimi minuti, al rientro Zanone intuì che le parole e il caffè non erano servite alla bisogna del partito, tentò di bloccare la mano di Sergio: «Ma che cosa fai??!!». Sergio Pininfarina fece, in nome, non dell'amicizia, ma della coerenza e dell'onestà politica, non di fazione e di corrente. Romano Prodi cadde e il suo governo andò a casa.

Il tempo, quel tempo, è davvero lontanissimo.
Sergio Pininfarina aveva una faccia non di questa epoca, era un uomo di età imprecisata, o meglio, di un qualunque anno ma non di questi attuali, contemporanei, per l'eleganza degli abiti, per lo stile del fare, del dire, nonostante la pronuncia, ogni tanto larga, del suo turineis. Ha spento i fari martedì notte ma, forse, la sua luce si era fatta debole, fioca quattro anni fa, quando Andrea, il secondogenito, venne travolto da un'automobile, morendo sul colpo. Andrea stava andando, in Vespa, verso la fabbrica di Cambiano. Questi erano e sono i Farina, da sempre, da quando Battista, detto Pinin, incominciò l'avventura. Pinin, in gergo piemontese, sta per Giuseppino, Battista era la fotocopia del padre, Giuseppe. Volle e vollero onorarlo con quel diminutivo che diventò vezzeggiativo per trasformarsi, imprevedibilmente, nel marchio di fabbrica, un distintivo, lo stesso che Sergio usava portare all'occhiello della giacca, un piccolo segnale che appartiene alle persone di un'altra generazione, di un altro stile, così come la penna stilografica e il fazzoletto, bianco di colore, nel taschino, sul petto. Sergio Pininfarina, dunque, da quel giorno maledetto di agosto del duemila e otto aveva incominciato a non essere più lo stesso uomo, padre, nonno e soprattutto marito di Giorgia Gianolio, a lei legata da 60 anni di fede nuziale.

L'anno del matrimonio fu il Cinquantuno, lo stesso in cui Battista Pinin ordinò al figlio di presentarsi dall'Ingegnere Ferrari e con lui discutere su profili, disegni, figure. Sergio aveva 25 anni, fu semplice strappare il sì a Giorgia ma tremendo fu il momento dell'incontro con il Drake. Il figlio di Battista diventò grande e sperava che Andrea così ripetesse la tradizione. L'incidente di Trofarello fu come una spugna a cancellare una fetta di memoria della sua esistenza bellissima e illuminata. La morte di un figlio non fa parte di nessuna lavagna, di nessun progetto, di nessun laboratorio.

L'esistenza di Sergio Pininfarina è stata quella un uomo di impresa, nel senso più vero della parola, perché era e resta un'impresa impegnarsi in e per questo Paese, lucidare la storia per illustrarla agli stranieri attraverso le opere dell'ingegno, della fabbrica, dello stile ma senza clamori. Amava le auto, ma alcune in particolare, la Rolls Royce e la Bentley, per il senso imperiale con il quale procedevano, l'Aurelia B24, quella che il cinema rese famosa, guidata (erano due i modelli nel film) da Vittorio Gassman ne «Il Sorpasso».

Sergio Farina, chiese di aggiungere Pinin al proprio cognome, gli venne concesso per decreto presidenziale di Giovanni Gronchi, nell'anno del centenario dell'Unità d'Italia, millenovecentosessantuno, quasi a significare e a ribadire l'importanza dei padri per la costruzione del Paese. Torino era tutta una bandiera tricolore, Italia '61 fu la grande festa, gli Agnelli erano i nuovi regnanti al posto dei Savoia in esilio.

Sergio Pininfarina di quel reame faceva parte, insieme con Giovanni Agnelli; diversi per usi e costumi, uguali per l'affetto riservato alla terra di origine.

Sono stati il simbolo di un Piemonte che si fatica ormai a riconoscere. Da ieri notte, ancora di più.

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