Pirellone, tangenti alla Lega Sotto indagine Davide Boni

Per il presidente del consiglio regionale della Lombardia un'indagine per corruzione per presunte tangenti. Lui: "Non c'entro". La sinistra chiede di sciogliere il consiglio. Formigoni: "Abbaiano a vuoto, continuiamo a governare"

Scena: foresteria di Luigi Zunino. Al tavolo siedono l’immobiliarista di Risanamento spa, l’architetto Michele Ugliola, il presidente del consiglio regionale della Lombardia Davide Boni, il suo braccio destro Dario Ghezzi e l’ex assessore all’ambiente Franco Nicoli Cristiani. È un cena «d’affari». In ballo c’è il piano di governo del territorio di Cassano D’Adda, comune in provincia di Milano. È lo stesso Ugliola che mette a verbale l’incontro davanti al procuratore aggiunto Alfredo Robledo. L’architetto, ritenuto uno snodo cruciale di molte vicende urbanistiche, è in carcere con l’accusa di corruzione. E inizia a collaborare. A un anno da quelle dichiarazioni, la svolta. Ieri, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Milano si presentano negli uffici del Pirellone con un ordine di perquisizione. E si svela quello che - nei palazzi della politica - si sapeva da tempo. E cioè che Boni è finito nel registro degli indagati per corruzione.

Ma Boni è in buona compagnia. Con lui sono sotto inchiesta anche il braccio destro Dario Ghezzi (capo della segreteria, e membro del cda di Gelsia, multiutility dell’ambiente in Lombardia), Luigi Zunino (già nei guai per la riqualificazione del quartiere milanese di Santa Giulia), l’imprenditore Francesco Monastero, l’ex sindaco di Cassano D’Adda Edoardo Sala (arrestato a maggio, e sempre per tangenti), l’ex assessore allo sport Marco Paoletti, e lo stesso Ugliola. Ancora una volta, è il mattone che muove i soldi sporchi. Denaro per accelerare le pratiche, ottenere permessi, modificare i Pgt. E soldi che arrivano in busta, direttamente negli uffici dell’amministrazione. Con una prospettiva, però, che sposta l’indagine dalla provincia a un livello nazionale. Perché, per gli inquirenti, esiste un «sistema Lega». In cui i soldi drenati sul territorio da Boni&Co finiscono nelle casse di via Bellerio. Almeno un milione di euro.

Peggio di un virus. Un’infezione che nel giro di nemmeno due anni ha decimato l’ufficio di presidenza della Regione Lombardia. È toccato a Massimo Ponzoni (Pdl), poi a Filippo Penati (Pd), quindi a Franco Nicoli Cristiani (ancora Pdl). Ora a Boni. Per la Procura avrebbe rastrellato quel milione nel giro di pochi anni, da quando diventa (è il 2005) assessore al Territorio. A posteriori - e visto nell’ottica della Procura - un ufficio chiave. Una decina di episodi sotto la lente degli investigatori, tra il 2008 e il 2010. Ma il rischio corruzione, ne sono convinti gli inquirenti, sarebbe attuale. Per il procuratore aggiunto Robledo e il pm Paolo Filippini, Boni e Ghezzi diventano i collettori delle tangenti per il partito, attraverso la leva dei Pgt. E, come si legge nel decreto di perquisizione, il loro coinvolgimento sarebbe «dimostrato in pieno». A inguaiare il presidente del consiglio regionale ci sono i verbali di Ugliola, quelli di Ambrogio Conforti (ex vicesindaco di Cassano, che ai pm ha parlato di denaro per costruire una sede della Lega in zona), e intercettazioni telefoniche. Tutto ancora sotto traccia. Perché la Procura non scoperto le carte nemmeno nel decreto di perquisizione, nonostante l’inchiesta fosse da tempo sulla bocca di tutti. Ma da ieri cade il velo, con la Gdf che entra negli uffici della Regione. Proprio quegli uffici che, è scritto nel decreto, Boni e Ghezzi «utilizzavano come luogo di incontro per concludere accordi nonché per la consegna dei soldi». Denaro contante, di cui «non è rimasta traccia». Come arrivano i soldi ai politici? Attraverso Ugliola, che raccoglie le mazzette versate dagli imprenditori alla sua società «Tema» (fallita in dicembre) sotto forma di consulenze fittizie.

L’avviso di garanzia, arrivato durante una seduta del consiglio regionale, scatena la bufera. L’opposizione chiede le dimissioni di Boni, che respinge le accuse. «Sono estraneo ai fatti contestati - dice -, e disponibile a chiarire la mia posizione». «Le opposizioni vogliono lo scioglimento del consiglio regionale oppure abbaiano molto perché sanno che c’è qualcuno che invece responsabilmente continuerà a tenere in vita una legislatura?», si domanda Roberto Formigoni. Ad ogni modo, «vale la presunzione di innocenza - aggiunge -, ma se le accuse saranno provate ci costituiremo come parte lesa». Una nuova grana per il governatore, alle prese - oltre che con le polemiche sul crac del San Raffaele - con un’ecatombe nell’ufficio di presidenza.

Dei cinque membri originari, solo Carlo Spreafico (Pd) resiste all’infezione. Di sicuro, la nuova inchiesta è solo all’inizio. Mazzette per il partito. Come Tangentopoli. Da lì, vent’anni fa, nacque la Lega. Vent’anni dopo, è proprio il Carroccio a tremare.

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