Oltre alla manovra, il governo Meloni giunge all'accordo anche sulla riforma costituzionale. A Palazzo Chigi arriva la fumata bianca anche dopo la seconda riunione di maggioranza organizzata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per fare il punto sul tema delle riforme istituzionali per l'introduzione del premierato. Il Ddl costituzionale, secondo quanto si apprende, ha avuto il via libera da parte della maggioranza con "piena condivisione" e venerdì 3 novembre sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri. A chiarire i termini del via libera in maggioranza ci pensa il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani al termine del vertice di maggioranza a Palazzo Chigi: "Siamo d'accordo anche sul testo che verrà presentato al prossimo Consiglio dei ministri sulla riforma del premierato".
A quanto si apprende da fonti qualificato nel disegno di legge della ministra Casellati c'è anche la norma anti-ribaltone. Nel testo è previsto tra le altre cose lo stop dell'istituto della nomina di altri senatori a vita: il ruolo resterà solo per gli ex presidenti della Repubblica. Non verranno, nel complesso, toccati i poteri del Capo dello Stato, se non quello della nomina del premier che si trasforma in conferimento dell'incarico al presidente del Consiglio eletto.
Niente più maggioranze variabili in Parlamento
Si va quindi verso la rivoluzione dell'elezione diretta del presidente del Consiglio, senza l'istituzionalizzazione del vicepremier, i poteri di nomina e revoca dei ministri in capo al premier e senza nemmeno la sfiducia costruttiva alla tedesca. La proposta di riforma costituzionale del governo prevede che le elezioni avvengano con una scheda unica in cui si dà il voto a una delle liste che sostengono il candidato a capo del governo e al candidato stesso. Previsto un sistema elettorale maggioritario con un premio del 55% assegnato su base nazionale che assicurerebbe il 55% dei seggi nelle Camere ai candidati e alle liste collegate al candidato premier eletto. Ci sarà poi una differenziazione tra la fiducia iniziale data dal Parlamento al presidente del Consiglio eletto e quanto può avvenire nel corso della legislatura; ed è proprio qua che entra in ballo la clausola anti-ribaltone.
Subito dopo le elezioni il presidente della Repubblica incarica il premier e lo manda di fronte alle Camere: se non dovesse raggiungere il numero di voti necessari per la fiducia, il capo dello Stato può reincaricarlo una seconda volta, ma se anche in questo caso non ottenesse la fiducia, si dovrebbero sciogliere le Camere e rimandare subito gli elettori alle urne Nel corso della legislatura, invece, in caso di "cessazione dalla carica" del premier, il Parlamento può proporre un sostituto purché sia espressione della stessa maggioranza uscita dalle elezioni, con l'aggiunta eventuale dei parlamentari che avevano già votato la fiducia a inizio legislatura.
Il potere di scioglimento delle Camere resterebbe nelle mani del presidente della Repubblica, carica che continuerebbe a non essere direttamente elettiva. Stop, quindi, a governi tecnici o nati in laboratorio mettendo insieme forze politiche che si erano contrastati in campagna elettorale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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